Alla Phono Press, la fabbrica dove nascono i vinili

Negli ultimi dieci anni il suo fatturato è più che moltiplicato. A 24 Km da Milano è l'ultima fabbrica di 33 giri in tutto il Paese

Phono Press, fabbrica vinili di Settala

C’è solo una scritta bianca e azzurra, in altro a destra, ad indicarci che siamo arrivati nel posto giusto. L’erba alta e il cancello arrugginito danno l’impressione che lo stabile sia abbandonato. Ci guardiamo intorno, alle dieci di mattina in questa strada chiusa che taglia la Sp61 non c’è nessuno, solo capannoni.

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Siamo nella zona industriale di Settala, un comune a più di venti chilometri da Milano dove ha trovato casa la Phono Press, l’unica  fabbrica di vinili in Italia. Un piccolo gioiello che negli ultimi anni ha visto più che moltiplicare il suo fatturato: nel 2010 stampava circa ventimila vinili al mese, oggi arriva fino a cinquantamila. Un risultato impensabile fino a dieci anni fa, quando l’epoca del 33 giri veniva data per finita.

Quando entriamo nel capannone la fabbrica è in piena attività e l’immobilità dell’esterno viene sostituita dal rumore cadenzato delle presse. Macchine che lavorano incessantemente dagli anni ’70 e hanno visto i primi dischi di Renato Zero, Vasco Rossi, Le Orme, Ryan Perri, fino agli ultimissimi di Brunori Sas, Baustelle, E-Green, Tiziano Ferro (che con 21 mila copie è stata l’ordinazione più grossa dal 2010 ndr).

«Sono macchine che richiedono tanta manutenzione ma non le ho mai cambiate», spiega Filippo De Fassi Negrelli, 44 anni, originario di Padova e proprietario della fabbrica dal 2010. «Non mi sono posto tante domande quando ho rilevato l’attività, volevo cambiare vita e l’ho fatto. Certo, speravo che ci fosse la ripresa del mercato che poi c’è stata».

Phono Press, fabbrica vinili di Settala

Gli ordini oggi arrivano da tutto il mondo. Principalmente dall’Italia, dall’Europa ma anche da Russia e dall’Indonesia. I tempi di attesa per i clienti sono dai due ai sei mesi e le case discografiche hanno ripreso la vecchia abitudine di incidere la musica sui dischi di plastica. «In un’epoca in cui il digitale appiattisce tutto, il formato fisico conferisce una certa solennità e importanza alla musica» spiega Filippo mentre dalla pressa esce il vinile con su stampato il nome di uno dei cantanti in gara al prossimo festival di Sanremo.

«La fortuna di questa fabbrica è stata quella di avere ordini piccoli ma costanti. Al contrario delle aziende che lavoravano con le major e con grossi ordini che quando è iniziata la crisi hanno dovuto chiudere» racconta Vincenzo Cilurzo, un ragazzo di 32 anni che da un anno e mezzo è stato assunto nel ruolo di trasferista, cioè colui che fa la prima traccia sul disco. «Le cose più strane che ho trasferito? Sono venti minuti in cui un tizio diceva “Tla La La” e poi, venti minuti di silenzio (è il lato D del disco di Brunori Sas appena uscito ndr)»

È dal suo ufficio che inizia tutto il processo di lavorazione: l’etichetta discografica gli manda il master del disco che viene passato sopra una prima copia di acetato. Un lavoro delicatissimo, quasi da amanuense. «Sono orgoglioso di quello che faccio. Ho fatto il fonico in passato e aver trovato posto qui per me è motivo di vanto. Oggi ascolto circa 7 o 8 titoli al giorno di tutti i generi». Dopo l’incisione, Vincenzo controlla con un microscopio i solchi che si sono formati sul disco.

Dal suo ufficio, la copia su plastica morbida, passa nel reparto di Luciano Avino, 48 anni, originario di Napoli, che fa questo lavoro da vent’anni. Il suo compito è quello di trasformare la copia in acetato in master argentato: quest’ultimo verrà inserito nella pressa e sarà quello che servirà per stampare gli altri vinili.

Phono Press, fabbrica vinili di Settala

«Stampiamo dalle 3.000 alle 5.000 copie al giorno» racconta invece Davide Niero, 50 anni (foto sopra). «Sono originario di Venezia e nella vita ho fatto il Dj, ho sempre lavorato con i vinili. Quando ho saputo che qui c’era una possibilità di lavoro l’ho accettata subito». Davide ci fa vedere come funziona una pressa: dai granelli di plastica si passa ad avere “un biscotto” che nel giro di pochi secondi, grazie ad una pressione di cento tonnellate diventerà il vinile. L’ultima fase è quella dell’ascolto, «le prime copie si buttano sempre via, il prodotto deve essere perfetto». Poi si procede al confezionamento e alla spedizione.

Giriamo per la fabbrica ancora qualche minuto, cercando di trovare i segni di un tempo passato e sbirciando tra i titoli delle nuove stampe. Filippo e i suoi dipendenti cercando di risolvere un problema tecnico e noi, primi di salutarli, ci guardiamo intorno cercando di capire quale sia la strana alchimia che unisce un processo ancora così artigianale a un mondo che da tempo si è smaterializzato.

Adelia Brigo
adelia.brigo@varesenews.it

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Pubblicato il 02 Febbraio 2017
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