Silvia Pareschi: “Quella volta che ho incontrato il sarto di Bruce Springsteen”

Traduttrice e scrittrice, vive tra il Lago Maggiore e San Francisco. Ha debuttato come autrice con un libro dove racconta gli aspetti più curiosi dell'America, senza dimenticare il suo idolo

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E’ cresciuta sul Lago Maggiore ma vive per metà dell’anno a San Francisco. A portarla dall’altra parte dell’oceano sono stati l’amore e la sua passione per la letteratura.

Silvia Pareschi è una traduttrice e scrittrice. Dopo aver tradotto per anni alcuni dei più grandi autori, soprattuto di letteratura angloamericana (fra i tanti autori da lei tradotti ci sono Jonathan Franzen, Don DeLillo, Cormac McCarthy, Zadie Smith, Jamaica Kincaid, Junot Díaz), e per editori come Einaudi, Mondadori e Adelphilo, lo scorso anno ha debuttato come scrittrice.

Il suo libro si intitola “I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani”, è stato pubblicato per Giunti ed è un libro che racconta l’America con gli occhi di chi la scopre strada per strada, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Una sorta di reportage che mischia il racconto ai miti pop. Un libro che si fa notare anche per la sua copertina a stelle e strisce.

La pubblicazione è del giugno dell’anno scorso ma, i libri, quelli buoni, non ha mai una scadenza e abbiamo deciso di intervistare l’autrice per saperne di più.

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Da quanto vive in America e lavora come traduttrice?
«Lavoro come traduttrice dal 2000, quando ho cominciato a lavorare a quella che sarebbe stata la mia prima traduzione pubblicata, il romanzo Le correzioni di Jonathan Franzen. Da allora ho tradotto più di cinquanta libri, quasi tutti per Einaudi, Mondadori e Adelphi. Nel 2008 ho conosciuto lo scrittore e artista Jonathon Keats e sono andata a vivere con lui a San Francisco. Solo part-time, però, perché comunque per metà dell’anno continuo a vivere sul lago Maggiore»

Come è arrivata a fare la traduttrice? Qual è stato il suo percorso?
«Mi sono laureata in Lingue e poi ho frequentato il Master in Tecniche della narrazione alla scuola Holden di Torino. Durante il master, mentre seguivo un seminario sulla traduzione, sono stata notata dalla docente, Anna Nadotti, che mi ha segnalata alla casa editrice Einaudi. Da quel momento ho cominciato a tradurre e non ho più smesso»

Qual è la parte più bella del suo lavoro?
«La possibilità di lavorare dappertutto: mi basta un computer portatile. E poi naturalmente il fatto di arrivare a conoscere intimamente la prosa di grandi scrittori, alcuni dei quali ho anche conosciuto di persona»

Come è arrivata a scrivere un libro?
«Quando sono andata a vivere negli Stati Uniti credevo di conoscere bene quel paese, ma presto mi sono resa conto la conoscenza “letteraria” è ben diversa da quella che deriva dall’esperienza quotidiana. Così ho cominciato a raccontare le mie avventure e disavventure in un blog, Nine hours of separation, ed è proprio dal blog che è poi nata l’idea di scrivere un libro»

Nel suo libro racconta un viaggio “coast to coast” per l’America. È la “tua” America? Quella che ami tu?
«L’America è un paese enorme e pieno di contraddizioni, con il quale ho un rapporto di amore-odio: lo amo tantissimo per le sue bellezze naturali e per l’ottimismo, l’apertura e la tenacia di molti suoi abitanti, ma ne detesto anche molti aspetti, quelli che purtroppo hanno prevalso nelle ultime elezioni. Nel mio libro cerco di mostrare entrambi questi aspetti, di dare un’idea di quanto possa essere sfaccettato e complicato questo paese»

Cosa c’entrano i jeans di Bruce Springsteen?
«I jeans di Bruce Springsteen compaiono nell’ultimo racconto del libro, quello in cui parlo del mio primo incontro con l’America e il suo mito: a sedici anni, innamorata di Springsteen, sono andata nella sua città natale e ho incontrato il suo sarto, che mi ha regalato un paio di jeans…»

Vive tra l’Italia e San Francisco. Quando è in America cosa le manca dell’Italia e viceversa?
«Dell’Italia mi manca soprattutto il nostro sistema sanitario, che dovremmo cercare di tenerci stretto perché quello americano basato sulle assicurazioni private è veramente spaventoso. Dell’America mi mancano la vita stimolante di una grande città e la vitalità di un paese giovane e dinamico».

Adelia Brigo
adelia.brigo@varesenews.it

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Pubblicato il 01 Aprile 2017
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