“Una montatura, Binda deve uscire dal carcere”

I difensori hanno anticipato la loro arringa, e attaccato le prove contro l'imputato definendole, in sostanza, gonfiate da alcuni media

Paola Bettoni, madre Lidia Macchi

Sarà forse perché Sergio Martelli è il presidente dell’Ordine degli avvocati di Varese, ma la richiesta di scarcerazione, l’ennesima, che i difensori di Stefano Binda (in carcere da 16 mesi) hanno presentato alla corte d’assise, si è trasformata in un atto d’accusa contro l’indagine della procura generale di Milano.

Martelli è stato molto severo nei confronti dei metodi con cui la dottoressa Carmen Manfredda, oggi in pensione, ha condotto l’inchiesta e ha parlato di indagine condizionata dalle pressioni mediatiche e di una detenzione in carcere che non aveva alcuna giustificazione, fin dal momento dell’arresto di Binda con l’accusa di aver assassinato Lidia Macchi.  

Per l’avvocato non c’erano pericoli di fuga e reiterazione del reato e nemmeno di inquinamento probatorio dato che l’uomo aveva conservato in casa, anche dopo che era stato indagato, tutte le agende dell’epoca. E non aveva, a detta della difesa, gettato nulla (l’accusa però non concorda).

L’avvocato ha chiesto che venga ascoltato per primo il teste numero 100, ovvero l’avvocato Vittorini di Brescia, il legale che il 4 aprile ha scritto una lettera ai difensori dicendo che nel suo studio si è presentata una persona che sostiene di aver scritto la famosa lettera “In morte di un’amica”.

Non è colpa nostra se l’accusa ci ha presentato una ricostruzione in cui si identifica l’assassino nell’autore della lettera – ha spiegato Martelli – se vogliamo la verità questa testimonianza è essenziale. Sacrosanta. E chiediamo che sia sentito per primo. E inoltre chiediamo la scarcerazione di Binda con la revoca della misura cautelare“.

L’avvocato ha definito l’incidente probatorio finora effettuato “un po’ strano” e “smontato” il testimone che sostenne che Binda non poteva essere a Pragelato. In realtà quel teste avrebbe preso un granchio, perché aveva fornito quella testimonianza sulla scorta del fatto che quella vacanza era riservata  ai liceali mentre mentre Binda era più grande.  Ma in realtà l’imputato era stato bocciato, dunque poteva benissimo essere presente.

E ancora: quando Don Sotgiu nel 2008 disse alla testimone Patrizia Bianchi, che voleva rivedere Binda, che ora l’amico “è un uomo diverso”, non intendeva affermare che era divenuto un assassino bensì che non gli aveva restituito dei soldi.

Sulle prove ritrovate dalla polizia, Martelli è stato molto duro. Ha ricordato che lo scritto “Stefano è un barbaro assassino”, non era in una agenda successiva al delitto ma si trovava in una agenda del 1986 e cioè precedente all’omicidio.

Infine ha affrontato il capitolo sulle pressioni mediatiche: l’avvocato Martelli ha lasciato intendere che tutta l’inchiesta sia stata in realtà fortemente influenzata da tv e giornali. “Sono stati scritti innumerevoli articoli, a seconda della sensibilità dei giornalisti – ha spiegato – in un articolo pesante si è parlato persino delle tendenze sessuali di Binda. Sono state fatte affermazioni spesso solo per screditare Binda. Ho tanta amarezza per questo”.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 12 Aprile 2017
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