Galli: “Voglio un congresso e un’associazione di rottura”

Parla il candidato presidente Davide Galli che, il 14 maggio a Ville Ponti, chiederà di nuovo la fiducia delle imprese per guidare Confartigianato: «I confini sono in noi e nella nostra mente. Noi vogliamo abbatterli. La crisi? Ha cambiato la rappresentanza. Oggi non contano i numeri, ma ciò che fai. Le grandi imprese? Soffocate dalla paura e dalla burocrazia»

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Davide Galli presidente. Davide Galli candidato. Davide Galli verso il congresso. Perché, quattro anni dopo l’elezione, ci si rimette in gioco, ci si rimette la faccia, si tira qualche riga, si tenta qualche somma, si parla a cuore aperto. E, soprattutto, si portano sulle spalle quattro anni che hanno cambiato il mondo, la vita, il modo di fare impresa. Il modo di fare associazione. Quattro anni che hanno cambiato l’uomo e l’imprenditore.

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Il 14 maggio Confartigianato Imprese Varese riunirà al centro congressi Ville Ponti di Varese quasi mille persone tra imprenditori, ospiti, invitati, amministratori pubblici, famiglie per celebrare la festa della democrazia nell’impresa, l’elezione del nuovo presidente (che, per statuto, non può svolgere più di due mandati) e iniziare a scrivere la storia più importante, quella del futuro. Un futuro destinato a portarci, come il passato, nel vortice dei cambiamenti.

«Un futuro di rottura, come di rottura sarà questo congresso: sancirà la fine di un percorso e l’inizio di una fase nuova. Ce ne fregheremo dei riti, dell’approvazione di quelli a cui abbiamo parlato e che non ci hanno capito o ascoltato, infischiandocene di dire cose nuove o parole chiare. Diremo quello che pensiamo e lo diremo in modo scomodo, schietto e sincero ma mai, e ripeto mai, irrispettoso».

Il coraggio della rottura: Davide Galli, a 57 anni, ricomincia da Confartigianato. Ma come si ricomincia dopo una rottura?
Mi stupisce vedere come in questi anni i nostri progetti, i nostri messaggi, il nostro sconvolgere schemi e abitudini ci abbia portato a una sempre maggiore autorevolezza e legittimazione nei confronti delle imprese e del territorio. Questa è la rottura. Rompere significa cambiare per diventare l’associazione giusta nel momento giusto.

Rompere gli schemi dell’economia e delle ritualità le ha fatto perdere qualche amico?
Faccio autocritica: prima di affrontare questo percorso ero più ossequioso nei confronti delle istituzioni e meno dirompente nel modo di vedere l’associazione. Dall’elezione a oggi ho aperto gli occhi, ho visto un’associazione diversa, che s’esprime e ragiona in modo diverso. Come me. Anche io, se non fossi diventato presidente, oggi non sarei diventato l’uomo che sono.

Si ricomincia in un mondo nuovo con un’associazione nuova?
La paura, ma anche l’impegno, è di non deragliare dai binari che ci hanno portati fino a qui e di non interrompere il cambiamento perché è nella capacità di trasformarsi, e di rompere, che l’associazione potrà continuare a essere quella che è diventata, facendo magari a meno di me come presidente ma non del direttore. E non della sua guida.

Lei di mestiere fa l’imprenditore e per un imprenditore i numeri contano eccome: i numeri ci dicono che le aziende calano. Si riesce ad avere coraggio davanti ai segni meno?
La preoccupazione c’è, sappiamo d’avere sempre meno aziende attorno a noi, e siamo consapevoli che quelle nuove sono sempre meno vicine alla realtà associativa. Ma la soluzione non è la paura, la soluzione è cambiare: tocca a noi essere più vicini alle aziende. L’abbiamo fatto, e continueremo a farlo: spero che le imprese lo abbiano compreso e lo comprenderanno.

Cambiare prospettiva è difficile. È stato difficile per il presidente Davide Galli?
Chi non è sciocco sa che bisogna proseguire lungo la strada del cambiamento, seguendo un modello che ha dimostrato di funzionare, continuando a porci domande e cercando sempre di dare risposte: da ora in poi sarà tutto più difficile, come peraltro non facile è stato il percorso fatto sin qui. Sappiamo d’aver generato grandi aspettative e di dover mantenere tante promesse ma l’alternativa, le retrovie, non avrebbe reso onore a noi e alle imprese.

La crisi cambia tutto e cambia tutti. Come sarebbe stata l’associazione senza crisi?
Cambiare fa paura. Rompe gli equilibri e genera “scomodità”. Quando si può, si tende a non cambiare. Noi, invece, siamo cambiati e molti sono cambiati con noi: l’associazione di oggi ha sostituito la quantità con la qualità, arrivando ad acquisire un’autorevolezza della rappresentanza basata sulla concretezza dei fatti più che sul numero di associati.

La crisi ha buttato giù tanti confini. Anche i vostri?
Il confine è ciò che sei e ciò che pensi e noi non abbiamo confini mentali. L’obiettivo è sprovincializzare l’orizzonte e rafforzare un modello-Varese da esportare in territori sempre nuovi. Oggi sono molte le micro imprese che non ce la fanno, che galleggiano e che, a un certo punto, tireranno la riga per limiti di età o perché consapevoli di non aver più nulla da dare. Quando anni fa, quando sentivo dire che un 1/3 delle aziende avrebbe chiuso, non ci credevo. Eppure è accaduto: chi ha saputo cambiare, però, è migliorato. E ha buttato giù i confini di ciò che è e di ciò che pensa.

Presidente, candidato ma, soprattutto, imprenditore. L’imprenditore Davide Galli è preoccupato?
Le mie preoccupazioni di imprenditore non riguardano il lavoro: non realizziamo grandi margini, ma il lavoro non ci manca, abbiamo trovato una specificità e i guadagni ci permettono d’investire. Ciò che mi preoccupa è il futuro, è sapere che quindici anni fa, se mi fossi sentito stanco, avrei potuto vendere o sarei arrivato a consegnare le chiavi dell’azienda a mio figlio. Oggi no, l’azienda non la vendi, il contesto economico è difficile e la tecnologia avanza più velocemente della tua possibilità di trovare sul territorio le figure tecniche adatte da inserire nell’impresa. Questo mi preoccupa.

Niente tecnici in una provincia manifatturiera per storia e vocazione?
Le imprese del settore meccanico si rubano gli studenti dal terzo anno dell’Itis in poi: per questo dico che stiamo andando nella direzione giusta, con Ife, con l’alternanza-scuola lavoro, con la qualificazione delle aziende di eccellenza. Sono altri a non aver capito che, se si proponesse un’immagine culturale diversa delle imprese, si riuscirebbero anche a offrire tantissime opportunità di lavoro per i giovani. L’operaio di oggi non è quello di un tempo. Leggere tali sciocchezze mi fa diventare matto. Siamo una società che non ha più la coscienza del rischio: devi essere remunerato, garantito, assicurato… altrove, nei Paesi anglosassoni, la cultura del rischio è cultura collettiva. In Italia, invece, la politica s’è costruita il consenso sull’attenuazione di ogni rischio.

Siamo arrivati fin qui. E domani cosa si dovrà, o potrà, dare di più alle imprese?
È la domanda più difficile ma una risposta c’è, e si chiama trasmissione della cultura d’impresa. L’associazione è questo, un incubatore di cultura imprenditoriale, e in quanto tale compie ogni giorno una missione ai confini della realtà.

Il mondo è cambiato portando con sé la frantumazione di abitudini e consuetudini. Come quella di sentirsi parte di qualcosa: un movimento politico, un’associazione… come si recupera il valore della rappresentanza? Ma soprattutto, cos’è oggi la rappresentanza?
L’imprenditore, soprattutto piccolo e medio, fatica a recepire il cambiamento. Non quello tecnologico, insiti nella natura dell’artigiano. Ma quello mentale. Un tempo essere artigiano significava andare in Confartigianato in quanto condizione, ed essenza stessa, del lavoro. La rappresentanza oggi è rappresentazione di valori trasversali, connaturati al sentiment dell’essere imprenditore e del vivere da imprenditore. È questo a unirci oggi, è il condividere il valore della famiglia, dei rapporti con le persone, dell’essere parte di un territorio (il tuo paese, l’oratorio, l’asilo, la sagra…) di cui si cerca di essere attori. Questo ci unisce e questo crea l’humus che ci accomunerà in futuro.

Rompere con il passato per ricominciare dai valori: siete pronti?
Non ancora, dobbiamo costruire e maturare una maggiore consapevolezza di ciò che siamo. Dobbiamo conoscerci di più e meglio. In questi anni da presidente l’arricchimento maggiore è derivato dall’incontro e dallo scambio con gli imprenditori che, al di là delle opportunità di business – che sono importanti – tutto questo ha contribuito a solidificare consapevolezza e comprensione. Per questo dico che il congresso di domenica sarà una grande occasione di incontro per imprese che ogni giorno, nel capannone, sono sole ma che possono trovare nello stare assieme la forza per affrontare meglio quella quotidiana. Vivi scialla, vivila bene: lo dico, ci credo e lo faremo. I rapporti tra gli artigiani e tra le piccole imprese sono veri e sinceri.

Piccola impresa e grande industria: l’ha detto lei, siete diversi…
Mia figlia studia economia e commercio alla Bocconi. Ora ha vinto un master in una università spagnola. Sin dall’inizio le hanno detto che non avrà più una vita, che il suo paradigma sarà la dedizione assoluta. Niente orari, non si stacca: ore, ore e ore di solo lavoro. Questi giovani non avranno figli, non avranno famiglia? Può, una vita così, renderti felice? Eppure è così che si vive nella grande industria, nello stress e nella paura. Pressioni pesantissime, numeri da fare. Lo trovo terribile. Per noi è diverso: io torno a casa, magari tardi e con il pensiero dell’azienda, ma sto con la mia famiglia, vivo la realtà del mio paese, cerco di apprezzare la bellezza del quotidiano. Questa è la vita che può rendere felici e in questa ci riconosciamo. L’industria, al contrario, s’è complicata portando con sé, purtroppo, la complicazione di un mondo artigianato che, nell’85% dei casi, dell’industria è fornitore o subfornitore.

Come è cambiata la grande industria?
Ha aumentato la burocrazia e sempre meno persone, all’interno di una grande impresa, sono disposte ad assumersi la responsabilità di decidere. Il denominatore comune è “pararsi il fondoschiena”, con conseguenti disorganizzazioni, rallentamenti e richieste di documentazione avanzate mille e mille volte.

La burocrazia pubblica e la burocrazia privata: quale fa più male?
Contro la “burocrazia pubblica” si può combattere: c’è la politica con la quale interagire, e il politico risponde (non sempre) a te, che sei il suo elettore. La grande industria no, non ti ascolta: prova a parlare con Google e vedrai cosa succede. Quei giganti sono internazionali, persino gli Stati faticano a interagire con loro. Questo sì mi fa paura: l’assenza di tutele. Anni fa non avrei detto quello che state scrivendo, lo ritenevo facile demagogia. Siamo in un altro mondo, e altri ne arriveranno. E tutti, lo so, iniziano da lì. Dalle rotture.

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Pubblicato il 12 Maggio 2017
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