La setta dell’omeopata: “Non prendete medicine, pregate”

Un medico indagato per la morte di un bimbo ad Ancona faceva parte del gruppo mistico di Varese, dove le guarigioni erano più importanti delle medicine. Ecco i racconti dei testimoni

apparizione

Non era un aspetto del tutto secondario quello del rifiuto dei farmaci nell’associazione del Roveto Ardente, il gruppo mistico di Varese divenuto alla stregua di una setta religiosa, in cui militò anche Massimiliano Mecozzi, l’omeopata di Pesaro indagato, la settimana scorsa,  per la morte di un bimbo di 7 anni a cui non avrebbe voluto prescrivere dei farmaci per un’otite.

Il suo nome compare anche, dal 2008,  nelle carte dell’inchiesta di Varese per associazione per delinquere finalizzata alla truffa, che si concluse con il proscioglimento di tutti gli indagati, difesi dall’avvocato Alberto Zanzi (i capi del gruppo mistico erano tutti legati a una famiglia di Varese).

La polizia all’epoca descrisse molti episodi raccontati da ex adepti di Varese e di Pesaro, dove A.r.a. aveva una comunità di famiglie legate a un sacerdote della zona.

Nel 2001 ad esempio la fondatrice del Roverto Ardente l’insegnante di Varese Giannella Giovannelli, secondo una testimone tentò di convincere alcuni adepti a rinunciare a una trasfusione di sangue, e di quell’episodio  fu protagonista anche l’omeopata pesarese.

roveto ardente

“In quella circostanza – scrive l’Anticrimine di Pesaro nell’informativa del 18 febbraio 2008 – Giovannelli Giannella, all’epoca guida spirituale di A.r.a. (Associazione Roveto Ardente), ebbe un forte peso nella vicenda, cercando di convincere i genitori sull’inutilità della trasfusione, e sul fatto che le condizioni cliniche del ragazzo sarebbero andate migliorando da sole. In quest’opera di persuasione la Giovannelli, che si trovava a Varese, era coadiuvata dagli associati Mecozzi Massimiliano, medico omeopata, e da B.A.”.

Per fortuna del ragazzo, due medici pesaresi, anche loro aderenti ad A.r.a, si misero di mezzo consigliando la trasfusione.

GUARIGIONI E IMPOSIZIONE DELLE MANI

Il motivo per cui il gruppo mistico del Roveto Ardente credeva nella superiorità della preghiera rispetto ai farmaci è raccontato in una memoria che gli stessi fondatori di A.r.a. presentarono ai giudici. I fondatori, Giannella Giovannelli e il marito, erano infatti convinti che nel 1979 la donna fossa guarita miracolosamente da una saldatura delle vertebre che le impediva di camminare, grazie a un miracolo. Una sorta di benedizione che l’uomo le impartì, una sera, di ritorno da un incontro di preghiera presso un gruppo carismatico.

A Bobbiate, dove il gruppo divenne sempre più esteso, si diffusero pratiche come l’imposizione delle mani per curare il mal di testa e spiegazioni legate al demonio per giustificare malanni.

LOURDES E L’APOCALISSE

La vita dell’associazione si può suddividere in due importanti comunità, a Varese e Pesaro. La storia dell’omeopata balzato in questi giorni agli onori delle cronache è legata al gruppo di Pesaro, dove il medico e altri associati acquistarono a Monteciccardo  un casale dove accogliere famiglie e minori disabili. A.r.a acquistò un terreno nelle vicinanze e un prete, don Sandro, donò a sua volta un caseggiato per realizzare una sorta di villaggio del Roveto Ardente, poi naufragato dopo lo scioglimento dell’associazione.

E’ in questo contesto che si dipana la vicenda di Mecozzi, seguace all’epoca della profetessa Giannella Giovannelli, consigliere dell’associazione, religiosissimo e tanto devoto da organizzare con la famiglia e i figli lunghi rosari quotidiani che potevano arrivare a fino a 150 Ave Maria al giorno, come raccontò la sorella alla Digos di Varese. Dopo la morte di Giannella Giovannelli per un tumore nel 2005 gli eredi si convinsero che stava per arrivare l’apocalisse. Grazie a una donazione (risultata comunque volontaria e dunque legale) avevano acquisito qualche tempo prima una casa albergo a Lourdes, il luogo che consideravano la loro fonte di ispirazione. Il progetto prevedeva che i membri della comunità vendessero tutto e si trasferissero a vivere in Francia, attendendo la fine del mondo.

La conferma arriva dagli stessi testimoni: “Mecozzi Massimiliano – scrive la polizia di Pesaro nel 2008 – ha riferito di aver lasciato, lo scorso mese di giugno, l’attività di medico omeopata con l’intenzione di trasferirsi con la famiglia e con gli altri soci dell’A.r.a. a Lourdes, in attesa dell’apocalisse”.

IL PROSCIOGLIMENTO

La sorella raccontò che in quel periodo il medico si ridusse in povertà, ma successivamente trovò la forza di uscire da A.r.a. Quando nel 2011 il tribunale di Varese archivierà l’inchiesta per truffa sarà lo stesso Mecozzi a ritenersi una vittima, e a fare opposizione all’archiviazione, chiedendo che si indaghi per il reato di induzione in schiavitù. Ad ogni buon conto il giudice Cristina Marzagalli, nella sentenza di proscioglimento, scrisse in sostanza che le donazioni economiche al Roveto Ardente furono volontarie e che gli aderenti non le usarono per arricchirsi.

I METODI SUBDOLI

Ma il giudice di Varese annotò anche queste parole: “I metodi utilizzati dai vertici dell’Ara sono forti, talvolta subdoli e brutali. Si pensi alla colpevolizzazione degli adepti che non aderiscono alle regole di vita impartite dalla guida spirituale B. (subentrata alla madre in tale ruolo dopo la sua morte), alcune delle quali assai crudeli, come il divieto per i bambini di frequentare i nonni non aderenti all’associazione“. Il giudice aggiunse infine che se fosse stato ancora in vigore nel codice, si sarebbe potuto parlare di plagio.

Va chiarito che all’epoca la procura di Varese e la digos indagarono su una sospetta truffa per incamerare beni degli adepti e fu su questo punto che vennero tutti assolti. Ma rimane il contesto di un gruppo religioso di “frangia”  i cui contorni ambigui emersero con tutta evidenza.

LE DRAMMATICHE TESTIMONIANZE DEGLI EX ADEPTI

Che cosa abbia rappresentato per gli aderenti quella esperienza emerse con chiarezza nel 2008 nell’informativa della questura di Pesaro che raccolse le testimonianze di ex adepti, tra cui anche quella dell’omeopata Marcozzi.

“Dalle diverse testimonianze è emerso con chiarezza che tutte le persone che hanno affermato di essere uscite dall’Ara (per loro stesso volontà o perché la famiglia della fondatrice le aveva estromesse, dichiarandole “decadute”) hanno sviluppato un forte risentimento verso l’associazione…”.

“I testimoni sono stati concordi nell’affermare di avere, inizialmente, vissuto un’esperienza positiva di volontariato, che si differenziava a seconda del settore nel quale si erano impegnati, ma di essere poi stati a poco a poco emarginati ed esclusi, additati dalla fondatrice o dagli adepti da questa incaricati come persone ‘impure, indemoniate’ e che non osservavano i dettami dell’associazione”.

L’informativa continua così: “L’essere associato comportava rinnegare tutto ciò che era ad esso estraneo, compresi amici e parenti e riconoscere la sola autorità della fondatrice prima e delle figlie poi, ritenute come coloro che erano in contato diretto con Dio”.

La polizia sottolineò infine perché si poteva parlare di setta: “I testimoni usciti dall’A.r.a. hanno affermato di non esser stati capaci di ribellarsi a quella condizione di sudditanza psicologica, paragonandola ai condizionamenti imposti dalle ‘sette’ e di avere, in alcuni casi, operato scelte dolorose nei confronti di familiari e congiunti”.

 

 

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 31 Maggio 2017
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