L’omeopata e la setta di Varese

L'indagine di Ancona sul bambino morto per un'otite ha un riflesso anche a Varese per una associazione a cui era legato il medico

crocifisso

Un omeopata di successo, ma anche una persona religiosissima: così i giornali locali descrivono Massimiliano Mecozzi, 55 anni, il medico di Pesaro indagato per la morte di un bambino di 6 anni, avvenuta ad Ancora, a causa di un’otite non curata. Il medico, in passato, aveva fatto parte, in qualche modo, della Associazione Roveto Ardente di Varese, e per un certo periodo avrebbe anche lasciato la sua professione per fare il magazziniere, forse in corrispondenza della frequentazione del gruppo.

Al processo contro 4 persone dell’associazione, una sorta di setta religiosa, Mecozzi partecipò come parte offesa quando nel 2011 insieme ad altre 3 persone, probabilmente ex adepti, presentò una richiesta di opposizione all’archiviazione di un procedimento che, dopo il clamore suscitato in fase di indagine, stava spegnendosi. Il Gip chiusa la vicenda nel marzo 2011. Non sappiamo al momento quale fosse il suo ruolo, ma si è trattato probabilmente di una di quelle persone che dopo essersi allontana dal Roveto Ardente riteneva che i suoi promotori avessero approfittato dei beni degli adepti. D’altronde era questa l’ipotesi che la Digos di Varese e la procura portarono avanti fin dal 2008.

La Procura inizialmente sposò la tesi della Digos di Varese e ipotizzò, a conclusione delle indagini, una associazione per delinquere finalizzata alla truffa che “prefiggendosi di organizzare una dimensione mistica e comunitaria, voleva in realtà imporre scelte di vita trancianti e penalizzanti, e anche la perdita di beni mobili e immobili”. I capi, secondo questa prima interpretazione, si appropriavano dei beni degli adepti, “facendo immaginare una reazione divina o demoniaca per chiunque esprimesse dissenso”.

Come detto prima, la conclusione finale fu invece che non vi erano elementi per provare le accuse. Caddero dunque le imputazioni di associazione per delinquere finalizzate alla truffa e circonvenzione di incapace. Rimase invece la vicenda umana e dell’Associazione del Roveto Ardente, un gruppo “di frangia”, come scrisse il consulente della Procura Andrea Menegotto in una relazione, nato dalla convinzione di alcuni tra loro di avere delle particolari capacità carismatiche.

ll ruolo centrale era esercitato da Giannella, al secolo Giovanna Giovannelli, insegnante di religione proveniente dalla Campania ma tra gli indagati figurava anche un prete della diocesi di Fano nelle Marche, don Sandro M. che però affermò di aver lasciato il Roveto Ardente già dal 2006. I denuncianti all’epoca raccontarono di essersi spogliati dei loro averi a vantaggio della setta, ma nulla venne mai provato.

Tuttavia l’Ara non ebbe mai nulla a che vedere con l’omeopatia. Piuttosto, Giannella era convinta che l’imposizione delle mani e la preghiera potessero far guarire da ogni malattia e anche dal mal di testa. Inoltre sottoponevano i membri del gruppo, fondato a Varese nel 1991, all’apertura della bibbia a caso, e alla lettura di brani da cui si traevano spiegazioni morali sulle persone sottoposte al rito. Giannella e quelli del Roveto fondarono un gruppo scout Agesci a Bobbiate (Varese) mea vennero espulsi dall’associazione Agesci. Ripiegarono dunque su una sorta di associazione per attività ludiche in costume, la Camelot, ma la estremizzarono a tal punto da celebrare i matrimoni in costume tra adulti, come accadde nel 1999 a San Cassiano di Velate, quando l’allora parrucchiere di Masnago sposò un viceprefetto di Varese. Dopo la morte di Giannella, però, il marito e le figlie si chiusero sempre di più e l’atteggiamento settario divenne più ossessivo secondo gli inquirenti da allora. Non fu una truffa, ma una stranezza sì.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 29 Maggio 2017
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