Molestie telefoniche a un carabiniere, indagato Nicola Uva

Ma la procura ha già chiesto l'archiviazione e la vicenda dovrebbe chiudersi presto.

Sentenza Processo Uva

Nicola Uva, fratello di Giuseppe Uva, uno dei familiari che si è costituito parte civile al processo sulla morte del 48enne operaio, è indagato per il reato di molestia per un episodio che risale ad almeno un anno fa. Il contorno della vicenda è ovviamente il clima di tensione legato alle indagini e al processo per la morte di Giuseppe Uva, divenuto un caso nazionale e politico che ha acceso gli animi. Il fratello dell’uomo deceduto, che per inciso conosce anche personalmente alcuni degli imputati, nel 2016 ha deciso di chiamare la moglie di uno dei due carabinieri coinvolti nel processo e, senza pensarci due volte, le ha chiesto se non vergognasse ad essere sposata con una persona “viscida”. Poi ha appeso il telefono ma non è chiaro se si sia qualificato o meno. La donna, spaventata, ha sporto denuncia ai carabinieri. I militari, su disposizione dell’autorità giudiziaria di Varese, hanno effettuato diversi mesi or sono, una perquisizione a casa di Nicola Uva e hanno posto sotto sequestro il telefonino da cui si presumeva fosse partita la chiamata. I carabinieri hanno visionato le celle telefoniche e hanno accertato che l’apparecchio utilizzato era quello del padre di Nicola Uva, nel frattempo deceduto, ma ancora in uso all’indagato.

L’avvocato di Nicola Uva, Antonio Matera, spiega: “Gli è stata contestata una contravvenzione a seguito dell’articolo 660 del codice penale, molestie o disturbo alle persone ma il fascicolo è oggi arrivato alla dottoressa Annalisa Palomba che ha già chiesto l’archiviazione – fa notare –  in realtà noi avevamo chiesto di essere sentiti per chiarire la vicenda, ma la procura non ci ha mai convocato fino a che abbiamo appreso che non vengono ravvisate delle ipotesi di reato fondate”

Il 20 settembre a Milano inizierà il processo di secondo grado. Se da un lato c’è delusione tra i parenti della famiglia, dall’altro i familiari degli imputati temono minacce a causa dell’eco mediatica della vicenda.  Alla caserma dei carabinieri di Varese, negli ultimi anni, sono giunte saltuariamente lettere contro i due colleghi imputati: in qualche caso, gli anonimi estensori delle missive, le hanno persino condite con delle feci.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 12 Maggio 2017
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