Poco credito alle piccole imprese, favorite le grandi

Dal Centro studi di Confartigianato una tendenza che preoccupa le piccole imprese di Varese. Il dg Colombo: «I segni meno influiscono negativamente sugli investimenti e sull’intero territorio»

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Poco credito alle piccole imprese: i flussi dei finanziamenti finiscono perlopiù ai “big”. Con conseguente rallentamento della ripresa e dell’occupazione. È una tendenza in chiaroscuro, e ancora lontana dalle dinamiche indispensabili a stabilizzare i segnali di rilancio, quella che emerge dal Centro Studi di Confartigianato su dati Banca d’Italia. Almeno per quanto riguarda le aziende di piccole o piccolissime dimensioni.

I numeri parlano chiaro: mentre il IV trimestre 2016 ha registrato un aumento del 4,27% sul capitolo investimenti, la domanda di credito – sempre alla voce investimenti – risulta in stagnazione da almeno dodici mesi. E il I trimestre 2017 si è addirittura chiuso con il segno meno. I prestiti alle società non finanziarie – escluse le imprese fino a cinque addetti – crescono dello 0,3%, mentre i prestiti al totale delle famiglie aumentano del 2,4%, e sono stabilmente in positivo da luglio 2015, evidenzia l’analisi.

«Più nel dettaglio – evidenzia Mauro Colombo (foto sopra), direttore generale di Confartigianato Imprese Varese – i dati disponibili per la classe dimensionale d’impresa relativi a febbraio 2017 indicano che i prestiti alle imprese medio-grandi (sopra i 250 dipendenti) crescono dello 0,4% mentre persiste la flessione sia per le imprese di minori dimensioni con meno di 20 dipendenti (-1,6%) sia per quelle sotto i 5 addetti (-0,6%)». Un segnale tutt’altro che confortante, sul quale pesano le rilevazioni negative dei settori costruzioni (-5,5%) e del manifatturiero (-0,7%). Meglio i servizi (+2,4%). Alla luce di questi dati, è inevitabile chiedersi come le imprese riescano a sostenere gli investimenti. La risposta è evidente: meno credito, più risorse interne (autofinanziamento e capitale proprio)».

Sempre secondo l’analisi di Confartigianato, il rapporto fra impieghi e valore aggiunto cresce con la dimensione di impresa, e oscilla fra il 34,2% delle grandi imprese con oltre 250 addetti, per loro natura ad alta intensità di capitale, e il 21,6% delle micro imprese in genere ad alta intensità di lavoro

Se il ricorso al capitale proprio è di pari entità in tutte le dimensioni di impresa (7,5% del valore aggiunto), quello all’autofinanziamento è quasi doppio nelle grandi imprese rispetto alle piccole imprese fino a 49 addetti (25,8% del valore aggiunto contro il 14,6%). Tra le fonti di finanziamento delle piccole imprese, c’è da evidenziare la riduzione dei debiti bancari (0,8% del valore aggiunto), combinazione della flessione registrata nelle micro imprese e di un aumento in quelle fra 10 e 49 addetti.

«Tale quadro, di primo acchito, può apparire positivo, alla luce della sempre minore dipendenza delle imprese da un sistema bancario che tanti scompensi ha causato nel passato ma, a una analisi più approfondita, per la natura delle imprese italiane e per la loro specificità, sicuramente influisce sulla dimensione e la consistenza degli investimenti – prosegue il direttore generale di Confartigianato  -. La contrazione del credito bancario colpisce, infatti, negativamente le micro e piccole imprese, spingendole su forme alternative di finanziamento (se esistenti e possibili) o addirittura facendole desistere tout court, con conseguente azzeramento delle opportunità di crescita, effetti negativi sulla redistribuzione delle risorse e relativa sofferenza dei livelli occupazionali».

Un’economia con il fiato corto, anche perché il calo dei prestiti concessi alle imprese artigiane registra una fase discendente sin dal giugno 2012 ma, in un solo anno, ha perso un preoccupante 5,9% (pari a 2,7 miliardi di euro). In cinque anni, infine, i prestiti al settore si sono ridotti di un quarto (-24,3%), per un totale di 13,5 miliardi di euro. Un calo doppio rispetto a quello registrato in tutte le altre imprese.

«Non è la dimensione del rischio quella che ha portato a diminuire in questi anni l’apporto di credito alle micro imprese; il loro contributo allo stock delle sofferenze bancarie è assolutamente marginale e con flussi ridotti rispetto a quello delle altre tipologie di imprese – conclude Colombo – Una possibile spiegazione è data invece dalla minore “appetibilità” che il mercato della micro impresa riveste oggi per il sistema bancario. Da una parte assistiamo, infatti, a una diversa selettività del merito di credito imposta dalla vigilanza bancaria che impone anche alle pmi di “attrezzarsi” con strumenti di pianificazione e controllo e di dimostrare maggiore trasparenza e capacità gestionale. Dall’altra, però, non possiamo che evidenziare come una minore remunerazione dei prestiti bancari per effetto dell’abbattimento dei tassi di intesse renda le piccole imprese forse commercialmente meno attrattive per il sistema bancario».

Resta la presa d’atto: «Quale che siano le cause, gli effetti di questa contrazione dei prestiti, in un momento in cui la debole crescita dell’economia italiana avrebbe bisogno di essere sostenuta, li subiamo tutti».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Maggio 2017
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