Verbanus, storia e cultura del Lago Maggiore

Sabato mattina, 27 maggio, la presentazione. Diversi i contributi culturali delle due sponde del lagoofferti dalla Società del Verbanisti

Avarie

Dopo la presentazione di Ascona (Canton Ticino) e Pallanza tocca ora a Laveno. Sabato mattina, 27 maggio ore 10,30 nella sala consigliare verrà presentato Verbanus, la rivista annuale della Società dei Verbanisti.

II primo numero ha visto la luce nel 1979 e quello che viene presentato è il numero 37 relativo al 2016. Conta 381 pagine, con 23 articoli, 20 “carte ritrovate”, cioè brevi spunti di ricerca, curiosità che riguardano le tre sponde amministrative del nostro lago. Infine, faticoso da compilare, ma di sicura utilità è poi l’indice dei nomi.

Questo numero di Verbanus è dedicato a Carlo Alberti, editore, che si è spento a Intra nell’agosto del 2016, a quasi 92 anni. Alberti è stato l’editore di Verbanus e poi socio fondatore della Società dei Verbanisti. A Laveno, il 20 febbraio dello scorso anno il Comune di Laveno gli aveva conferita, per i suoi meriti, la cittadinanza onoraria, ricordando che la sua famiglia era lavenese.

La rivista apre con un articolo di Rossana Sacchi, docente di Storia dell’Arte all’Università Statale di Milano, e ha per oggetto un polittico, o meglio quel che ne rimane, conservato nella chiesa di San Martino di Vignone. È una tavola che rappresenta l’Adorazione del Bambino, opera già attribuita al pittore sesiano Pietro Renolfi, Renulfus. Ora, grazie al ritrovamento nell’Archivio di Stato di Milano di un contratto datato 8 febbraio 1557, Sacchi attribuisce con certezza l’opera alla bottega milanese dei Bossi: forse di Gabriele e di suo padre Cristoforo.

Stefano Martinella, allievo della professoressa Sacchi, dedica la sua attenzione a un altro pittore di ambito milanese del XVI secolo, Gerolamo da Meda. In questo ambito territoriale si conosceva di lui una sola opera: una pala d’altare tuttora conservata nella chiesa dell’Assunta ad Ameno. Il dipinto raffigura la Vergine con il Bambino, seduta su un trono posto su un affioramento roccioso sul quale compare la firma del pittore. Martinella pubblica ora un contratto datato Intra 1573, che ci permette di conoscere un’altra opera verbanese del Meda: la pittura e la doratura di un mondino, cioè di un tabernacolo. Purtroppo, però, non conosciamo né la chiesa di destinazione, né l’opera, che è andata persa.

Sergio Baroli, in La trilogia mancata di Gian Della Quercia, passa in rassegna l’opera letteraria di un autore inglese innamorato dell’Italia al punto da accantonare la sua lingua d’origine per scrivere in italiano. Dietro lo pseudonimo Gian Della Quercia si cela infatti Edward Capel Cure, consulente commerciale dell’ambasciata inglese a Roma. I tre romanzi sono Il Risveglio, Sul Meriggio (pubblicati) – e faticosamente letti, dice il Baroli – e Il Vespero, che non fu mai pubblicato. I due romanzi furono scritti in Toscana, a Siena, ma Capel Cure ebbe anche forti legami con il Verbano – e lo scopriremo poi -: infatti dal 1893 fino alla sua morte nel 1923 visse a Pallanza, prima sull’Isolino San Giovanni, e in seguito in una villa alla Castagnola. Baroli legge e ci racconta anche un altro romanzo, scritto in italiano e dal divertente e criptico titolo: Storia della Nobile Compagnia dei Delfini, compilata dal Presidente, per uso (o abuso) dei ”Delfinotti”.

Vittorio Grassi ( attuale presidente dei Verbanisti) ha dedicato il suo contributo al filosofo Pietro Prini, nato a Belgirate nel 1915 e morto a Pavia nel 2008. Con Il bisogno di dirsi ho ripreso un tema a lui caro: il linguaggio. Le sue riflessioni sulla tensione della parola a superare se stessa sono state il fil rouge per una digressione in ambito verbanese: dal discorso religioso (intuizione dell’indicibile), al discorso filosofico (la sua elaborazione concettuale), al discorso letterario (la sua traduzione verbale). Da Rosmini e Manzoni attraverso Piero Ceretti e Prini fino a Clemente Rebora.

Alberto Jelmini , studioso ticinese: Nuova vita al Teatro San Materno ad Ascona. Il teatro voluto dalla ballerina Charlotte Bara coi soldi del facoltoso suo padre, è stato costruito nel 1928 in stile Bauhaus dall’architetto Weidemeyer. Dopo i successi iniziali il teatro ha conosciuto un periodo di decadenza. Riaperto nel 2009, il teatro è ora tornato ad essere un centro culturale di primaria importanza, con la conduzione di Tiziana Arnaboldi, coreografa, danzatrice e regista.

La sezione successiva: Storia, si apre con un articolo di Gian Paolo Giuseppe Scharf, collaboratore dell’Università dell’Insubria. Scharf ci presenta una pergamena del 1185, una sentenza riguardante una lite per il passaggio in un bosco che contrapponeva le comunità confinanti di Maccagno Inferiore (sponda lombarda del Lago ma pieve di Cannobio) e Agra (pieve di Valtravaglia). Lo studioso sottolinea come la pergamena, già conosciuta, ma inedita, sia importante non soltanto per la sua antichità ma anche perché attesta istituzioni e funzionari in attività in epoche successive: i podestà, i gastaldi e il ruolo della famiglia Mandelli.

lnteressantissimo e dotato di un apparato bibliografico estesissimo è l’articolo di Giancarlo Andenna, già docente all’Università Cattolica dii Milano, ora Accademico dei Lincei. Un originalissimo contributo che spazia dalla musica polifonica fiamminga alle miniere del ducato Milanese.

Siamo a Milano, nel 1476, quando Galeazzo Maria Sforza per dar maggior sfarzo alla sua corte, chiama a Milano un rinomato maestro di cappella, il cantore Antonio Guinati detto l’Abbé. La cappella viscontea contava 33 cantori, largamente retribuiti, e il maestro Guinati, oltre allo stipendio in ducati d’oro, ebbe una casa in Milano, la cittadinanza milanese ed infine – e qui sta l’originalità – la concessione di far svolgere ricerche minerarie nel territorio del ducato milanese.

Il Guinati aveva il diritto di scavare minerali, fonderli per ottenere oro, argento, rame, piombo, ferro, con l’estensione ai lapislazzuli e all’allume. Documenti successivi attestano che le ricerche si effettuarono e probabilmente con qualche esito positivo, visto che il Guinati chiamava in Italia delle persone con esperienza mineraria. Ma le successive traversie politiche e militari del ducato indussero il giovane Gian Galeazzo Sforza a tagliare sulle spese, prime tra tutte quelle per pagare il nostro maestro di cappella.

Strettamente legato all’articolo di Andenna è quello di Mario Canetti, ricercatore all’Università dell’Insubria. È un documentato articolo sull’evoluzione dei diritti legati alle attività di ricerche minerarie nel Ducato di Milano ai tempi del dominio Visconti/Sforza.

Stefano Della Sala in questo numero di Verbanus conclude la puntigliosa ed esaustiva rassegna fornita di un apparato iconografico, di tutte le iscrizioni esistenti nel territorio di Castelletto sopra Ticino: sia quelle ancora esistenti, sia quelle riportate nei documenti.

Francesco Parnisari ci parla di una visita pastorale compiuta nel primo Cinquecento dal vescovo Francesco Ladino a Cannobio e in Val Veddasca. Ladino divenne vescovo ausiliario, o suffraganeo, della cattedra ambrosiana nel 1517, col titolo di vescovo di Laodicea. Nella primavara del 1526 visitò Cannobio, allora in diocesi di Milano; e qui la narrazione della visita si incentra inevitabilmente sul miracolo della “Pietà”, avvenuto pochi anni prima, nel 1522. Da Canobbio il vescovo si trasferì in Val Veddasca dove consacrò la chiesa di Campagnano, oltre a quelle di Graglio, Armio, Maccagno Superiore e Curiglia. L’articolo si conclude con il ritorno sul lago Maggiore del vescovo Ladino nel 1533, poco prima della sua morte, per consacrare la nuova chiesa della Ss. Pietà a Cannobio.

Pierangelo Frigerio e Beppe Galli ci offrono un minuzioso esame delle strutture economico- sociali del territorio luinese fra Settecento e Ottocento, attingendo da quella miniera di informazioni a tutto campo costituita dai catasti, nella fattispecie quelli elaborati dall’amministrazione austriaca tra il 1706 e il 1859. Corredato da tavole esplicative, l’;articolo è suddiviso in capitoli riguardanti le diverse attività produttive: si parte dal settore agro-silvo- pastorales, per giungere agli albori dell'industria caratterizzati dai mulini e dai torchi da vino e da olio; ma anche da fornaci per laterizi, da filande e filatoi per la lavorazione del lino e della seta.

Anche il tessuto urbano è minuziosamente descritto: contrade, case, botteghe, cascine. L’articolo si conclude con uno sguardo sulla società civile, fermando l’attenzione sulla distribuzione dei patrimoni fondiari nel territorio luinese.

Ritornando sulla sponda piemontese del lago Maggiore troviamo l’articolo dello studioso aronese Giovanni Di Bella. Il periodo da lui preso in esame grazie alle carte dell’archivio privato Falciola di Belgirate, è quello tra il 1798 e il 1800, che vede la nostra zona pesantemente provata dal passaggio delle truppe austro russe prima e da quelle francesi poi. È la cronaca di continue intimidazioni e requisizione fatte ai danni delle comunità del lago per mantenere i soldati provenienti da tutta Europa, e qui dislocati sull’asse Sempione-Ossola- lago. Le carte si riferiscono prevalentemente ai risarcimenti per le somme che alcuni privati avevano sostenuto o anticipato per conto della comunità di Belgirate.

Il fenomeno dell’emigrazione ha una storia plurisecolare, e Orlando Nosetti, professore svizzero di economia finanziaria, in questo articolo ferma la sua attenzione sulla storia di una famiglia della Val Veddasca, quella dei Nosetti, e ne segue le vicende dei due rami: quello che si stabilì a Brissago, e quello che si stabilì nel Canton Lucerna a Emmen. Emigrati come muratori diventano capomastri e poi imprenditori. La foto è scattata nel 1964 in occasione dei primi 50 anni della ditta di costruzioni fondata da Pietro Mosetti a Emmen.

Se nell’articolo precedente vi era un collegamento tra Italia e Svizzera, in quest’articolo di Giorgio Roncari, il collegamento è tra Italia e Messico. Si narra infatti l'avventurosa vita di Amilcare Roncari di Besozzo, il quale dopo aver combattuto nel 1849 a fianco di Garibaldi a Roma, è costretto a fuggire prima in Svizzera e poi in America. Dotato di bella voce, nel novembre del 1849 è a New York al seguito della Compagnia Italiana d’Opera. Dagli Stati Uniti si trasferisce poi in Messico come impresario operistico, diventando uno dei più importanti agenti di Città del Messico. Allo scoppio della rivoluzione messicana combattè nelle truppe di Benito Juarez a fianco di un altro italiano: il lucchese Luigi Ghirlandi. Tornato in Italia, morì il 1° luglio 1882, ed è sepolto a Giubiano.

Enrico Fuselli si occupa del “Mulino del cappellano”, del quale rimangono ormai solo i ruderi sul torrente Riale presso Bosco Valtravaglia. La documentazione raccolta permette però di ricostruirne le vicende nell’arco di un paio di secoli. L’edificio, di ridotte dimensioni e consistente in una mola e una pista, prendeva il nome dal cappellano Pietro Antonio Parietti, che lo costruì alla metà del Settecento. Macinava granaglie e, per la sua posizione isolata, il proprietario chiedeva il permesso di tenere armi. Dopo diversi passaggi di proprietà e alcune controversie, il mulino cessò la sua attività probabilmente a causa dell’alluvione dell’agosto 1900.

Sempre su questa sponda lombarda, Gianni Pozzi ci narra con dovizia di particolari le lunghe liti tra il parroco di Graglio, il varesino don Giuseppe Limido, e quel Comune, a motive della doppia casa parrocchiale. Per potersi insediare come parroco nella casa di proprietà comunale don Limido doveva ottenere il regio exequatur, cioè l’assenso da parte dell’autorità civile, ma questo nulla osta tardava ad arrivare, risultando alle autorità trattarsi di un prete “ostile al governo”. Don Limido non si perse d’animo: prima si accontentò di abitare in una casa del paese, e poi, con la scusa di voler ampliare la sacrestia, nel 1831 costruì una nuova casa parrocchiale, occupando parte del sagrato; la quale, essendo di sua proprietà, passò in eredità ai parenti. Nel 1888 don Limido, ancora privo dell’exequatur, si dimise da parroco, ma continuò a vivere nella sua casa, non disdegnando trasferte in Canton Ticino per servizi religiosi non graditi però al governo ticinese che infatti ne decreta l’espulsione. Da questa si salva con un sotterfugio che richiama l’attenzione anche della stampa nazionale. Il bellicoso sacerdote morì infine nel 1893, e la casa da lui fatta costruire venne poi abbattuta.

A cent’anni dalla fondazione, l’aronese Antonio Zonca racconta la storia della Brigata di fanteria Pallanza, che, nonostante tale nome, aveva sede ad Arona, nella casa Pollinini, un edificio adiacente all’Istituto suore Marcelline, e attualmente non più esistente perché abbattuto e sostituito da un condominio. La Brigata fu voluta dai Pallanzesi, i quali non digerivano il fatto che la vicina rivale Intra ospitasse un battaglione alpino intitolato alla città. Una prima domanda, fatta dal sindaco di Pallanza nel 1916, vantando l’onore di aver dato i natali alla famiglia Cadorna, fu rifiutata dal Ministero, in quanto tutte le nuove unità militari avevano già un nome. Nella

riorganizzazione seguita al tragico 1917, la richiesta fu finalmente accolta, ma per motivi logistici, la sede fu fissata ad Arona e non a Pallamza. Ad Arona si teneva l’addestramento delle nuove reclute, mentre i cittadini di Pallanza formavano un comitato per donare alla Brigata una regia bandiera, anche se tra le due amministraziomi cittadine, come leggerete, non mancarono attriti e incomprensioni. La Brigata Pallanza fu un prima linea per dodici mesi e ventisei giorni, ebbe 135 morti, 1. 248 feriti e 376 dispersi. Fu smobilitata nel febbraio 1919, e la targa di Cembra, qui riprodotta, ricorda l’aiuto prestato alle popolazioni di Val di Cembra.

La sezione I sentieri della memoria si apre con un articolo di Ettore Brissa, il quale fa la spola tra la natia Cannobio e la Germania, dov’è stato docente universitario. Ci parla della corrispondenza inedita tra due rami della famiglia Branca originaria di Cannobio; un ramo a Milano, l’altro trasferitosi in Germania, a Monaco di Baviera, nell’ultima decade del Settecento.

Di questo ramo, un Guglielmo, fu geologo e professore all’università di Berlino, mentre Gerhard, scrisse nel 1928, in tedesco, una storia di Cannobio.

Nell’articolo di Parachini- Pozzi si parla del film del 1916 che sarà proiettato al termine della presentazione. Si tratta di una pellicola di pochi minuti, circa dieci, ritrovata casualmente durante lavori di sistemazione al Museo del Paesaggio che è stata poi restaurata presso il laboratorio L’Immagine ritrovata della Cineteca di Bologna. Riguarda la conferenza dell’agosto 1916 tenutasi a Pallanza tra una delegazione governativa italiana ed una inglese per discutere sugli approvvigionamenti di carbone all’Italia in Guerra. La pellicola era stata donata dal generale Cadorna al Museo del Paesaggio dopo essere stata proiettata a Milano e Roma, e, probabilmente in altre città nel periodo della grande guerra. Belle le immagini di Pallanza e del lago che vengono riviste dopo cent’anni. Nel manifesto di presentazione sono state proposte alcuni fotogrammi del film.

La sezione si chiude con un articolo di Dalmazio Abrosioni, giornalista ticinese, già direttore della rivista Il lavoro. È il testo di una conferenza da lui tenuta nel 2016 su Francesco Francis Borghi, pioniere e innovatore tra cinema, radio e televisione. Trasferitosi a Parigi per studiare il mondo della cinematografia, maturò l’idea di creare una casa di produzione indipendente. E infatti, tornato in patria, nel 1939 fonda la Locarno Films e produce, dirige e interpreta un film: Eve, che ebbe un certo succcesso in Ticino e a Ginevra. E così, a chi chiede come mai, nel 1946 Locarno riuscì in pochi mesi a mettere i piedi un festival, l’autore può rispondere: «Perché a Locarno il cinema non soltanto si vedeva, ma anche si faceva».

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Pubblicato il 23 Maggio 2017
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