Con tutte le regole del gioco
Al Maga la grande mostra dedicata a Marcello Morandini ripercorre la lunga carriera dell'artista
Prosegue, fino al 30 luglio, con un buon risultato di visitatori, l’esposizione dei lavori di Marcello Morandini presso il MAGA di Gallarate. Una mostra, montata e curata nell’allestimento, con tutte possibilità e la spazialità che il Museo offre. Forse è anche già lì tutta la gradevolezza che le opere, pur nella loro ampiezza espositiva, regalano al visitatore. L’esposizione declina infatti, l’intero percorso realizzativi che l’iter progettuale di Morandini ha realizzato dal finire degli anni sessanta ai giorni nostri. Un percorso in cui le semplificazioni geometriche, i riallineamenti grafici, i restringimenti o gli ampliamenti formali, danno la misura dell’autore, del suo distintivo segno grafico nei processi visivi della ricerca Astratto-Geometrica, anche se meglio sarebbe dire di quella Cinetico-Programmata. Momento e movimento artistico nato alla fine degli anni sessanta e che a Morandini ha dato la possibilità, nella Biennale del 1968 d’avere un’intera sala dedicata al proprio lavoro.
E’ lì, in quei fermenti di ricerca che Marcello Morandini pone le sue basi progettuali, in opere che lo accompagneranno via via sino ai nostri giorni e che qui a Gallarate, l’esposizione ha ben documentato, sia con opere sia con documenti fotografici. Un lavoro che si distingue da subito per il rigore progettuale, per la chiarezza degli intenti, per una ricerca metodologica che ha, nella concretezza dell’analisi matematica, le regole del suo gioco. Un metodo di lavoro capace d’andare oltre alle limitate convenzione che il movimento Astratto-Cinetico-Programmato portava in sé. E anche se i suoi elementi coloristici rimangono sempre legati al bianco e al nero, alla sfericità delle strutture elementari, alla posizione di quadrati e rettangoli capaci di scindersi in un’infinità di varianti, oggetti costituiti da elementi primari, concepibili in forme minuscole o maiuscole, in cui l’immagine, tridimensionale e bidimensionale, che se ne ricava, è quella di una dimensione di totalità. Una dimensione di totalità che, nella serialità costruttiva, compone un percorso visivo ritmico, mai statico e in cui l’aspetto temporale, grazie alle continue scansioni geometriche, insite nella forma, sviluppa elementi che nel loro aspetto visivo creano movimento, ritmo, spazialità.
La crisi artistica degli anni settanta-ottanta, con l’emergere di ambiti di ricerca diversi, pop-art, arte povera, concettale, body-art…., tolgono l’attenzione verso il campo astratto; Morandini, grazie alla tensione morale che lo ha sempre animato e senza abdicare alle regole metodologiche del suo operare, “sposta” la sua ricerca in un ambito più ampio, quello relativo agli interventi ambientali, al designer e all’architettura.
Funzionalità e produzione diventano così, gli elementi primari che danno continuità al suo lavoro, alla sua ricerca estetica. Elabora un’immagine e un’idea dell’arte non più come dimensione privata ma come dimensione estetica del mondo. Infatti, le sue produzioni di designer, pur mantenendo lo stesso spirito metodologico, donano ai prodotti, esiti estetici ben identificabili rispetto al mondo del designer, il quale, molto spesso, gioca più sull’esteticità della forma piuttosto che su un’esteticità di prodotto funzionale.
Tavoli, ceramiche, librerie, tappeti, divani….., offrono una dimensione visiva legata alla possibilità del fruire, sono oggetti costruiti nel rigore di un processo realizzativo di compatta eleganza. Non è di poco conto questo approccio, perché tiene fede al metodo rigoroso della progettazione degli anni sessanta che hanno continuato a sostanziare ogni produzione. SE il designer ha ben sottolineato questa continuità, gli ultimi lavori, nel campo dell’architettura urbana, mostrano ancora di più l’efficacia delle intuizioni poetiche ed estetiche della ricerca di Marcello Morandini. L’esposizione gallaratese, anche se a volte è un po’ sovrabbondante di immagini, ci da la misura della sua coerenza poetico-progettuale, che ha saputo andare al di là di una visione intimistica, sapendo rapportarsi con misura ed equilibrio anche alle dimensioni architettoniche monumentali e ambientali, lavoro che molta arte contemporanea ha via via perso per strada, alla ricerca di giochi, apparentemente estetici ma ben lontani da momenti e da costruzioni realizzate secondo le precise e immodificabili “regole del gioco”.
antonio maria pecchini
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