Sul palco del Milano Pride, l’intersessualità: grazie a una varesina

Il Varese Pride in qualche modo non finisce, ma continua sul palco del Pride milanese: dove è invitata un’attivista varesina, tra i primi a mostrare l'orgoglio intersessuale

personaggi

Il Varese Pride in qualche modo non finisce, ma continua sul palco del Milano Pride, previsto per sabato 25. Là sopra – ma anche in iniziative collaterali, come quella di giovedì 22 alla Casa dei Diritti, in via de Amicis – ci sarà un’attivista varesina, che in meno di un anno dal silenzio sulla propria identità è diventata rappresentante nazionale di chi è nelle sue condizioni.

Sono passati pochi mesi, ma tanta vita, infatti da quando pubblicavamo un articolo dal titolo “Io, intersex”: quest’articolo, senza il nome completo per mantenerne una privacy ancora necessaria per chi si stava pian piano riappropriando di una propria identità, era la storia della varesott* Sabina Zagari .

LEGGI: “IO, INTERSESSUALE”

Da quella intervista ne è passata di acqua sotto i ponti: e insieme alla consapevolezza e alla maggiore sicurezza, per Sabina è arrivato il momento della partecipazione attiva.

Sabina è reduce da un incontro internazionale a Vienna, dove è stata rappresentante italiana degli intersessualità e ha contribuito a redarre e poi tradurre in italiano uno statemets finale, e ora la si può considerare a pieno titolo una dei due fondatori di Oii Italia, la costola italiana dell’organizzazione intersessuale mondiale. «Oii-Europe esiste da tempo – spiega – e Alessandro Comeni che fino a poco tempo fa era l’unico attivista intersex italiano, fa parte del consiglio direttivo europeo. Mancava in italia un’associazione che si occupasse dei diritti fondamentali delle persone intersex: quando ci siamo conosciuti abbiamo creato Oii-Italia che non è altro che una succursale italiana di Oii-Europe».

«Con Alessandro – continua Sabina . ci siamo prima di tutto conosciuti su internet e poi ci siamo incontrati a Torino al congresso di Certi Diritti. Da li ci siamo confrontati sulla necessità di depatologizzare le persone intersex. Insomma lottare per i diritti di persone invisibili al mondo che per lo più grazie all’ambiente medico si sentono malate. E noi non siamo persone malate» .

Come già sapevamo dalla prima intervista, sono in molti ad essere geneticamente intersex: «Ma difficilmente riescono a dirlo, esprimerlo, renderlo pubblico. Io stessa ho avuto bisogno di molti anni. Ora voglio dire a chi è come me: ci siamo, siamo contattabili, fatevi avanti».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 21 Giugno 2017
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