Il coordinamento migranti: “Le parole sono importanti quando si parla di profughi”

"Ognuno faccia la sua parte" è questo il messaggio che il coordinamento migranti ha voluto lanciare nella mattina del 3 agosto

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Ognuno faccia la sua parte: istituzioni, enti, ma anche giornali, nella corretta comunicazione del fenomeno dell’immigrazione. Con responsabilità e senza inutili allarmismi o prese di posizione: solo così si potrà governare quello che è un fenomeno che cambierà il nostro futuro e su cui la storia ci chiederà il conto.

E’ questo il messaggio che il coordinamento migranti ha voluto lanciare nella mattina del 3 agosto 2017 a Varese: un messaggio che si è reso necessario, come hanno spiegato alla stampa – in questo caso diretta interessata – soprattutto dopo il caso dei migranti di Busto Arsizio venuti a protestare a Varese per spiegare al Prefetto le condizioni in cui vivevano nelle sedi gestite da una cooperativa di “accoglienza” del sud della provincia.

In quei giorni, sui giornali c’è chi parlò di “Marcia su Varese, Invasione” e altri termini simili: e questi titoli scatenarono, specialmente sui social, commenti che misero a nudo la violenza verbale di molti degli utenti.

«Quello dei migranti di Busto era un problema ben specifico: la realtà nella nostra provincia, quella che viviamo nel coordinamento Migranti, è diversa in tema di integrazione e accoglienza, e spesso sarebbe bello parlarne – presidente Acli provinciale Filippo Pinzone – Basta vedere cosa accade in molti piccoli Comuni dove gli immigrati sono accolti e portati in un percorso di integrazione che permette loro di conoscere la lingua, interagire con la comunità e prepararsi a un lavoro».

«C’E’ UNA BELLA DIFFERENZA TRA “ACCOGLIERE” E “STIPARE”»

I numeri dei rifugiati ospitati in provincia, poi, sono completamente diversi da quella che si possa definire “un’invasione”: «Gli immigrati in provincia di Varese in totale sono 1700: se ogni Comune della nostra provincia ne accogliesse solo 5 sarebbe sufficiente a risolvere il problema senza creare disagi a nessuno – ha continuato Pinzone – Il problema è che c’è una bella differenza tra “accogliere” e “stipare”: in Italia abbiamo la fortuna di non avere dei quartieri ghetto, come le banlieu parigine, dove aggregare centinaia o migliaia di immigrati, in un mix esplosivo che genera violenza e disagio per sua stessa natura. Quindi è opportuno non riprodurla, stipando centinaia di persone nei “centri di accoglienza” troppo grandi».

C’è disagio per esempio, a vedere appaiata ai migranti la parola “business”, e al lavoro di certe cooperative come un modo di fare soldi. In realtà, «I soldi investiti dallo Stato in questo settore non sono a fondo perduto – ha spiegato Martina Vitalone, del coordinamento Migranti – Un ente gestore che gestisce correttamente questo fenomeno (perchè io lo chiamo fenomeno, non riesco a chiamarlo problema perchè non lo è: le parole sono importanti) è un moltiplicatore dei soldi che lo Stato investe: l’ente gestore che integra e include crea forza lavoro, mercato, e riduce al minimo le spese per la sicurezza sociale».

«Io sono meridionale, ricordo ancora benissimo i cartelli che venivano esposti a Milano quarant’anni fa dove si rifiutavano affitti a persone del sud – ricorda Antonio Massafra, segretario generale della Uil – Ora mi tocca sentire persone che chiedono lo stesso trattamento per gli immigrati: non posso pensare ad altro che al frutto di una comunicazione distorta, sui media e sui social, che acuisce un problema che non esiste invece di cercare un giusta forma di dialogo e integrazione. E su questo chiediamo ai media la collaborazione».

RITROVARE LA NARRAZIONE, PER RACCONTARE UN FENOMENO STORICO

«Per ricreare una corretta comunicazione la parola fondamentale è narrazione – ha aggiunto Martina Vitalone, che del coordinamento Migranti fa parte come rappresentante della cooperativa Lotta contro l’Emarginazione, una delle strutture che li accolgono – Ricostruendo la loro narrazione, la loro vita e i motivi che li hanno portati qui, possiamo ricostruire anche la nostra narrazione. Perchè questo è un fenomeno storico, che ha bisogno di essere correttamente narrato: un fenomeno che inciderà ancora nei prossimi anni, e la storia ci chiamerà a rispondere di come lo stiamo gestendo ora. Aiutateci a narrarli, spesso non hanno voce».

LA TEORIA DEL PIANOFORTE

«La valenza della stampa è importantissima – ha sottolineato infine George Mawinga, venuto in Italia dalla Repubblica Democratica del Congo ben 33 anni fa, per motivi di studio e qui rimasto, a Comerio – Lo sforzo da fare è quello di fare capire l’importanza del “diverso”: un immigrato è anche una risorsa, non solo un problema. Si sentono fatti di cronaca e li si riconducono tutti “al negro” che così è visto, genericamente, è visto come un ladro o un delinquente. Ma ognuno di noi, così come gli italiani , è una realtà a sè stante: ci sono le brave persone, che vogliono solo cambiare vita, e quelli che non seguono le regole. Ma se qui l’immigrato è visto solo come un problema, e lui percepisce di essere visto come tale, è ovvio che non faccia alcuno sforzo per integrarsi. E invece, noi tutti insieme siamo come un pianoforte: gli italiani sono i tasti bianchi, “i diversi” sono quelli neri. Ma la musica non viene melodiosa se non si usano tutti insieme. Il mondo è cambiato rispetto a 40 anni fa, bisogna prenderne atto: sarà più pieno di tasti bianchi e neri, e questa è una risorsa non un problema».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 03 Agosto 2017
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  1. Gianfredo Ruggiero
    Scritto da Gianfredo Ruggiero

    Quando gli italiani emigravano, lo facevano verso paesi che avevano bisogno di mano d’opera, nono come l’Italia di oggi con il 40% di disoccupazione giovanile, oltre tre milioni di disoccupati e 5 milioni di italiani sotto la soglia di povertà…e non raccontiamoci le solite storielle dei lavori umili rifiutati dagli italiani o degli immigrati che ci pagheranno le pensioni.
    Cordialmente.
    RG

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