L’inno di Mameli e l’analfabetismo funzionale
Dopo la decisione del consiglio comunale di Tradate di non far suonare più l'inno, sui social si sono scatenate molte polemiche. Interessante analisi dei meccanismi che generano alcune prese di posizioni
Stavolta non sono le scelte politiche di un’amministrazione a tenere banco nel flusso della comunicazione. Quella è stata l’origine, ma poi tutto il dibattito, con i relativi centinaia di commenti, è andato da tutt’altra parte.
Ricapitoliamo per chi avesse perso qualche pezzo (e non ci sarebbe niente di male). Lunedì sera il consiglio comunale di Tradate ha votato una proposta di non far suonare più l’inno nazionale di Mameli in apertura di ogni seduta.
Una scelta contrastata dalle minoranze, ma la nuova amministrazione a guida leghista è stata compatta nella scelta.
Varesenews, come succede per molte delle informazioni, nel pomeriggio di martedì ha postato la notizia nella pagina Facebook del giornale. Da lì si è scatenato un putiferio di commenti.
Marco Villa, una volta scoperta la storia, ha scritto su Dailybest un lungo articolo che prende spunto dai fatti per fare una riflessione più generale sull’analfabetismo funzionale. Al di là dell’origine e delle singole posizioni politiche, è interessante l’analisi fatta perché ne va della possibilità di vivere un confronto civile.
Anche di fronte all’evidenza dei fatti, nessuno ammette di aver sbagliato o di non aver letto l’articolo: tutto viene fatto rientrare nella propria narrazione del paese, quella che vede un’Italia ormai condannata a una deriva “comunista” o “africana”. “Danno tutti i numeri”, “È un paese di pagliacci” sono le più classiche esternazioni di qualunquismo, che si dimostra così immune anche alla realtà, alla dimostrazione dell’insensatezza delle basi del discorso. Del resto è argomento di qualche giorno fa: è inutile provare a spiegare a chi condivide una bufala che si tratta di informazioni sbagliate, perché l’unico risultato è l’arrocco sulle proprie posizioni, pur di non ammettere l’errore.
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