L’ex giudice: “Distrussi i vetrini, ma non fu colpa mia”

Parla l'ex gip Ottavio D'Agostino: "Ma non sono colpevole, il dirigente mi fece un elenco e non potevo sapere dell'errore"

Le immagini del processo Lidia Macchi

E’ andato in scena un rimpallo di responsabilità all’udienza odierna per l’omicidio di Lidia Macchi.

Ascoltato come testimone, l’ex gip del tribunale di Varese Ottavio D’Agostino (chiamato dalla parte civile avvocato Daniele Pizzi) ha spiegato che nel 2000 fu lui a distruggere i reperti dell’indagine per omicidio sulla morte di Lidia Macchi, ma che non si ritiene colpevole per quanto accaduto, addossando la responsabilità sull’allora dirigente dell’ufficio corpi di reato Antonino Ciccia.

Tuttavia, va detto, il funzionario, in una precedente udienza ha ammesso che fu un errore ma non ha mai detto di averlo commesso egli stesso. Anzi, ha riferito di non sapere chi scrisse la lista con le indicazioni vergate a mano sui reperti Macchi.

Com’è noto, Ciccia chiese a D’Agostino nel 2000 di fare spazio nell’ufficio e il giudice acconsentì. “Avevo massima fiducia nel dottor Ciccia, lui mi fece una lista di oggetti da distruggere e perciò autorizzai. Non c’erano altre indicazioni, mai mi sarebbe potuto venire in mente che c’erano corpo di reato relativi a processi già aperti”.

Le immagini del processo Lidia Macchi

L’ex giudice ha spiegato di essersi accorto solo dopo la distruzione di quanto era accaduto, poiché vide una lista che indicava la dicitura Lidia Macchi scritta a mano, che però prima non c’era: “Dopo qualche giorno tornò indietro il foglio delle distruzioni effettuate – racconta D’Agostino – e a penna c’era scritta l’indicazione su Lidia Macchi. Mi si rizzarono i capelli sulla testa. Andai da lui e gli dissi, ma che cosa ha fatto? Lei mi ha autorizzato, mi rispose. Scrissi al dottor Abate per avvisarlo di quanto successo, ma non ricevetti mai nessuna risposta. C’è stata molta leggerezza – commenta l’ex giudice – da parte del dottor Ciccia, e io non mi sento colpevole perché non potevo sapere a memoria i numeri del registro generale di tutti i processi”.

Chissà se in quei vetrini oggi sarebbe stato possibile rinvenire un dna, nel 1988 furono inviate delle provette in Inghilterra per un esame poi fallito e buona parte del liquido venne consumato: ma con le tecniche di oggi, forse, si sarebbe potuto comunque trovare qualcosa.

D’Agostino ha poi raccontato che in quegli anni parlò più volte informalmente del caso Macchi con il pm Agostino Abate e gli sollecitò anche un esame del dna di un capello biondo che fu trovato nell’auto di Lidia e che il pm custodiva in un armadio chiuso a chiave del suo ufficio. Anche don Antonio Costabile era biondo, e secondo D’Agostino quella traccia portava Abate, tra le altre cose, a propendere per la colpevolezza di quel prete. L’ex giudice ha aggiunto che però il pm Abate era rimasto scottato da un processo subito a Torino per quella indagine e a suo parere non voleva parlarne perché per lui era una ferita aperta.

La versione del giudice, sulla distruzione dei vetrini, ha tuttavia almeno due passaggi imperfetti. Il primo emerge da una domanda del presidente della corte d’assise Orazio Muscato che gli ha chiesto se avesse avvisato il pm Abate prima di firmare la distruzione dei vetrini poiché si tratta di un provvedimento a cui la procura può fare ricorso. Non risulta alcun avviso precedente, e D’Agostino ha riferito che non ricorda. La procuratrice Gemma Gualdi ha invece affermato che la teoria dell’elenco scritto a penna, inserito solo successivamente alla distruzione dei reperti, “è una cosa che ci sta dicendo lei, poiché non c’è alcun elemento per dire ciò che lei assume”.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 19 Settembre 2017
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