Ben venga la mobilità sostenibile. Ma che sia veloce

Dagli albori dell'uomo potersi muovre è fondamentale. Ma per farlo rinunciando al proprio mezzo è necessario non perderci in termini di tempo

Trasporto pubblico

Una delle chiavi di lettura dell’evoluzione umana è certamente quella della mobilità.
La capacità delle persone di spostarsi liberamente da un luogo ad un altro ha segnato il cammino dell’uomo fin dalla comparsa della nostra specie.
L’ Homo sapiens sapiens, dalle regioni dell’Africa orientale, dove si è evoluto al rango di specie, e dove si muoveva, localmente, per soddisfare i propri bisogni primari o per sfuggire ai predatori, ha iniziato questo percorso con la prima grande migrazione di massa che, attraverso il corridoio medio orientale, ne ha permesso la diffusione in tutto il globo in un periodo di tempo di 70/80.000 anni circa.

L’intero periodo preistorico vede le popolazioni umane legate a territori circoscritti con spostamenti quotidiani ancora legati ai fabbisogni essenziali (cibo, pelli, utensili, legna da ardere) nell’intorno di caverne o dei primi villaggi.
Con le prime civiltà si assiste ad un progressivo incremento della capacità di spostarsi, da una città all’altra, con mezzi animali, cavalcandoli direttamente, oppure su carri trainati dagli stessi lungo piste o strade rudimentali, ovvero sui mari con le prime flotte strutturate ed i primi porti organizzati.
Con Roma si assiste alla prima vera rivoluzione della mobilità umana : con un reticolo stradale da fare invidia ancor oggi, per capacità di penetrazione nel territorio e per qualità tecnica di realizzazione, persone e legioni si muovevano a velocità davvero interessanti per l’epoca (nel 191 a.c., Catone raggiunse Brindisi da Roma in 5 giorni – 100 km/giorno – e Cesare, nel 58 a.c. fece il percorso Roma – Ginevra in 8 giorni – 150 km. / giorno -) ed anche la flotta, supportata da una miriade di porti realizzati lungo l’immenso perimetro costiero dell’impero, garantiva tempi di percorrenza di tutto rispetto (meno di un mese Roma – Alessandria).

Dopo Roma occorre fare un salto di mille e trecento anni circa, fino alla rivoluzione industriale, per assistere a dei progressi rilevanti che, grazie all’impiego delle fonti fossili applicate alle scoperte della fisica e della meccanica hanno permesso al genere umano spostamenti sempre più rapidi, capillari e, soprattutto, personali.
Dopo secoli durante i quali intere comunità nascevano, vivevano e morivano entro un raggio di pochi chilometri, si è passati, grazie ai servizi ferroviari prima, ed ai mezzi motorizzati poi (su terra, acqua e cielo) alla capacità di raggiungere luoghi di lavoro o di svago distanti centinaia di chilometri in poche ore, partendo al mattino per rientrare a casa la sera nella stessa giornata.
Dopo la seconda guerra mondiale, per la verità, questa corsa alla mobilità, che è stata, in fondo, un misuratore dei traguardi di libertà personale e collettiva, ha raggiunto livelli di sfrenatezza fin anche eccessivi creando non pochi disagi : dal traffico caotico delle città
all’inquinamento che, negli anni settanta, raggiunse davvero livelli insopportabili.

Lo smog causato dai veicoli a motore, insieme al riscaldamento con olio pesante ma anche col carbone, rendeva città come Milano irrespirabili e trovandosi in città vestiti con camicia bianca si rientrava a casa col colletto annerito, conciati come il Duomo.
Figuriamoci le quantità di polveri: grossolane, di media pezzatura, sottili ed ultrasottili che finivano nei polmoni dei milanesi e dei pendolari, lavoratori o studenti che fossero.
A rigor di logica, sentendo le attuali campagne di riduzione delle polveri sottili nell’aria, i milanesi di quei tempi, permanenti o giornalieri che fossero, avrebbero dovuto morire tutti o, comunque, subire una vera e propria strage. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Non che non ci siano stati morti a causa delle malattie delle vie respiratorie, e molti anche (magari poi gran parte erano anche accaniti fumatori …), ma non certo un’ecatombe come ci si sarebbe dovuti (stando alle notizie attuali) attendere.

Lasciando ad un successivo intervento una disamina più accurata sul problema dello smog moderno e delle polveri sottili che, francamente, mi pare assolutamente strumentalizzato dalla lobby delle case automobilistiche, vorrei riprendere la polemica in merito al nuovo piano delle soste recentemente entrato in vigore nella nostra città e pubblicizzato anche in funzione di una ventilata sostenibilità ambientale secondo il principio : ” disincentivare il trasporto privato in favore di quello pubblico “.
Certamente il primo obiettivo, quello di ridurre gli accessi nel centro cittadino con il proprio automezzo, attraverso un incremento sensibile dei costi per parcheggiare, potrà avere qualche risultato apprezzabile ma è il secondo obiettivo, che, per altro, dovrebbe anticipare il precedente, quello su cui l’amministrazione comunale deve operare in maniera convincente e, quindi, trionfante.
Temo, tuttavia, che, ancora una volta, ci si trovi ben lungi dal traguardo vittorioso.

Pertanto, come accennavo, non è più accettabile che la nostra autonoma mobilità sia condizionata da promesse a cui non siamo più disposti a credere, quindi prima venga ristrutturato il sistema del trasporto pubblico cittadino affinché, a titolo di esempio, come m’è capitato poche settimane or sono, non si debba attendere 50 minuti in centro per raggiungere il rione di San Gallo con l’autobus di linea, e solo dopo si pongano in atto azioni che disincentivino l’uso dell’auto personale.

Un’organizzazione efficiente della mobilità pubblica, in una moderna città quale pretende di essere la nostra Varese, deve consentire a ciascun cittadino, giovane, adulto o anziano che sia, ovvero studente, lavoratore o pensionato, che si muova per recarsi a scuola od al lavoro, per praticare dello sport o mille altre attività culturali o di dedicazione ad un servizio con gratuita dedizione, di usufruire di moderni e, tecnologicamente efficienti, autobus con intervalli che non possono, ragionevolmente, superare i 15 / 20 minuti tra un passaggio e l’altro, pena (in attesa del tele trasporto) la limitazione del nostro diritto alla mobilità, una conquista cui non siamo disposti in alcun modo a rinunciare.
Valerio Montonati – Agronomo

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Ottobre 2017
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