Coen: “Il digitale richiede un salto culturale”

Alberto Coen Porisini, rettore dell'Università degli studi dell'Insubria, parla dello Spid (sistema pubblico di identità digitale) e della rivoluzione tecnologica in atto

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«Quando ci sono dei sistemi online e digitali cerco sempre di usarli». L’affermazione di Alberto Coen Porisini (foto), rettore dell’Università degli studi dell’Insubria, è la risposta di chi ha accettato e assecondato il cambiamento. Un passaggio, quello dall’analogico al digitale, tutt’altro che scontato, nonostante il tema sia ampiamente dibattuto a più livelli e gli strumenti siano alla portata di tutti. Per esempio, nel Paese che da sempre lamenta una burocrazia fatta di lungaggini e formalità inutili, si può già utilizzare lo Spid, il sistema pubblico di identità digitale. Una piccola rivoluzione in una realtà che stenta a cambiare.

Rettore, l’Università degli studi dell’Insubria ha adottato lo Spid?
«Certo, tutti i servizi online accessibili con questa modalità sono contrassegnati. Per poter accedere correttamente con identità Spid ai servizi è indispensabile, per il momento, avere già un’utenza rilasciata dall’Ateneo. Gli studenti, dopo aver ottenuto le credenziali, lo usano perché è comodo».

In che cosa consiste la comodità?
«Chi usa i servizi online deve ricordare le credenziali per ciascun servizio e questo crea qualche scompenso a chiunque, perché o sei Pico della Mirandola o ricordare le varie credenziali diventa un problema. Averne una sola è dunque un grande passo avanti».

Qual è il problema maggiore che c’è oggi nell’adozione dei sistemi digitali?
«Credo che ci sia un problema generazionale. Nei giovani che sono nati con il digitale non c’è quella diffidenza che invece c’è in chi non è più giovanissimo. Tra i miei amici, per esempio, molti sono diffidenti verso il commercio elettronico e pensano che fornire online i dati della propria carta di credito sia da folli».

È solo il dato anagrafico che spiega questa spaccatura?
«Nel nostro Paese c’è un ulteriore problema: c’è diffidenza verso ciò che è tecnologico, come se mondo umanistico e mondo scientifico fossero in contraddizione tra loro. Nei paesi dove esiste questa diffidenza c’è anche una scarsa propensione all’innovazione e si creano polarizzazioni. Ci sono imprese che sono avanguardie mondiali nel loro settore e imprese in cui l’innovazione stenta a passare e di conseguenza fanno fatica a stare sul mercato. Come ci sono persone che sopravvivono nella cultura del pezzo di carta e chi invece preferisce l’efficienza e usa il certificato digitale».

Forse il cambiamento è più faticoso di come viene raccontato?
«Qualsiasi cambio culturale richiede impegno prima di diventare abitudine consolidata. Un giorno, una persona a me vicina aveva bisogno del certificato di proprietà della sua automobile. Dopo averlo cercato per un’intera mattinata mi è venuto in mente che quel certificato, un tempo cartaceo, oggi è digitale. Grazie a un Qr code (acronimo che sta per quick response, cioé risposta rapida. È un codice a barre bidimensionale ndr) il certificato non devi più cercarlo nei cassetti, ma viene riprodotto con una semplice app sullo smartphone.  Tutto questo richiede una nuova mentalità».

Qual è invece secondo lei il problema che enti e istituzioni dovrebbero risolvere sul fronte digitale?
«Resta aperto il problema della interoperabilità delle banche dati, tema che i nostri studenti affrontano in un corso di laurea in informatica. Quando si replicano informazioni in più luoghi, c’è la probabilità che prima o poi si avranno dati non allineati con delle conseguenze perché si genera confusione e incertezza e quasi sempre l’onere di riallineare tutti i dati spetta al cittadino. Per esempio, il catasto usa il codice fiscale per vedere quali sono le proprietà immobiliari, ma se in una successione l’operatore sbaglia a inserire il vostro nome, il bene risulterà frazionato e spetterà al cittadino sistemare il tutto, cioè riallineare le informazioni».

La Camera di Commercio ha lanciato una campagna per l’uso dello Spid che ne agevola l’utilizzo anche dal punto di vista economico. Quanto conta l’azione di associazioni di categoria ed enti a più livelli per accelerare questo processo di cambiamento?
«Hanno un ruolo determinante, così come è determinante la pubblica amministrazione che, a differenza di banche e assicurazioni, spinge sull’interoperabilità dei sistemi e la loro integrazione».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Novembre 2017
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