Don Fabio Baroncini: “Sospetti tra i ragazzi di Cielle? Mai avuti”

Omicidio Lidia Macchi, il prete che guidava il movimento: "Se avessi saputo qualcosa, l'avrei detto alla giustizia"

Lidia Macchi

Don Fabio Baroncini è stato per 20 anni un punto di riferimento a Varese: sacerdote e professore, dal 1966 al 1986 insegnò in città e fu uno dei leader spirituali del movimento di Comunione e Liberazione. Dai verbali del suo interrogatorio, in tribunale, nel processo a Stefano Binda, emerge in sostanza che don Fabio non ebbe mai una idea su chi potesse aver commesso il terribile delitto di Lidia Macchi. Nonostante il suo ruolo di confessore, ma anche educatore, tra molte generazioni di ragazzi lo ponesse in una posizione di osservatorio privilegiato, egli non maturò mai una convinzione specifica sul caso.

Nei verbali dell’incidente probatorio Don Baroncini parla così: “Ai Carabinieri dissi: ‘Se sapessi chi è stato farei fatica a portarvelo sano e salvo’ perché l’ambiente in cui viveva la Lidia era così teso, così arrabbiato, così ostinato che se avessero saputo chi è stato finiva male”. Il sacerdote nella sua testimonianza difende il movimento religioso ed esprime anche una sua valutazione sull’indagine degli anni Ottanta che puntò su un prete: “Sì, fu elaborato il teorema che siccome l’educazione cattolica è repressiva dal punto di vista sessuale, il responsabile bisognava cercarlo nel gruppo di amici. Questo secondo me ha fatto perdere una marea di tempo e ha fatto perdere l’occasione di valutare tutte le prove”.

Don Fabio commenta la lettera anonima che l’accusa attribuisce a Stefano Binda. Chiede il giudice: “Quando lesse per la prima volta quello scritto, lei ne trasse qualche impressione particolare?” Risponde don Fabio: “No, che poteva essere lo scritto come si usava allora di un qualunque dei suoi compagni che preso atto della terribile morte scriveva quella lettera. Io l’ho vista così. Doveva essere uno sensibile a tutta una problematica religiosa, difatti lo svolgimento della lettera rimanda a immagini che solo in ambiente religioso sono evocati”. E sulle frasi della poesia dice: “Fa parte tutto di un bagaglio di conoscenze che si apprendono se si frequenta l’ambiente cattolico”.

Ma la domanda che tanti si sono fatti in questi anni è questa: don Fabio raccolse delle confessioni su quanto accaduto a Lidia?: “Nessuno è mai arrivato da me per parlarmi di queste questioni – risponde il sacerdote, oggi 75enne – se avessi avuto il sospetto su qualcuno…questo sarebbe arrivato alla giustizia”.

Baroncini dice dunque chiaramente che se avesse saputo qualcosa, lo avrebbe fatto arrivare ai magistrati. Fu proprio lui a parlare il giorno del funerale e a pronunciare l’omelia.

Su Stefano Binda Baroncini è più vago; afferma di ricordare poco ma la pm Carmen Manfredda gli cita i verbali di interrogatorio in cui invece confermò che Binda era un ragazzo un po’ speciale. A quel punto il sacerdote si apre e conferma che era sì speciale, molto intelligente e che lo considerava un capoclasse. Poco altro però.

Su Lidia, afferma che era una ragazza assennata, generosa e anche fisicamente forte. “Aveva una forza mica da poco” spiega il prete, ricordando un campo scout in cui gli amici cercarono di gettarla per scherzo in un fiume ma non ci riuscirono. “Dico che è stata avvicinata da qualcuno che conosceva” sostiene quindi il prete. Giudice: “E quindi non era una ragazza insomma che potesse essere facilmente ingannata?” Don Fabio: “No”.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 27 Novembre 2017
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