Dopo il referendum, Ielmini: “Sì all’autonomia ma dei Comuni”

Il primo cittadino di Laveno Mombello fa la sua riflessione sulla richiesta di autonomia delle regioni Lombardia e Veneto: "Le Regioni sono meno importanti dei comuni"

materiali elezioni 2015

Autonomia si, ma dei Comuni (e delle Province). Così Ercole Ielmini, sindaco di Laveno Mombello, esprime il suo pensiero in una lunga lettera che ospitiamo su Varesenews, in seguito al risultato del referendum sull’autonomia dello scorso 22 ottobre. Ecco cosa pensa il primo cittadino del comune del Verbano.

L’altra domenica, il Lombardo-Veneto è stato chiamato ad esprimersi, dopo oltre 150 anni dall’unificazione italiana, sulla volontà di vedersi assegnata una più vasta autonomia nel governo del proprio territorio e, seppur non esplicitamente citata nel testo referendario, una maggiore attribuzione di risorse economiche, indicate, da più parti, nel 90% del gettito fiscale. Le due Regioni, attraverso i loro Consigli, hanno cercato di fare la voce grossa nei confronti del Parlamento e del Governo nazionale sollecitando anche e soprattutto il sostegno dei propri concittadini. In Lombardia il risultato non è stato così imponente quanto a partecipazione; in Veneto la percentuale dei votanti è stata superiore forse anche perché accerchiato da Regioni a statuto speciale( ma hanno ancora senso?) che beneficiano di trasferimenti erariali e di competenze maggiori. Non è tanto di questo sul quale intendo porre alcune considerazioni anche perché, se devo proprio dirlo, non ho ritenuto questo tipo di referendum come lo strumento il più adatto. E in ciò ritengo di essere in buona compagnia, viste le personalità ben più autorevoli e competenti di me che ne hanno espresso un giudizio negativo. Vorrei infatti spostare l’attenzione e la riflessione su quelle che considero le più autentiche autonomie e cioè sui Comuni, e perché no, sulle Provincie. La mia esperienza e vita quotidiana mi mettono in contatto con i miei concittadini ai quali il mio Comune, come la maggior parte degli 8000 Comuni italiani, fa fatica a dare risposte sia per la scarsità di risorse sia per i tempi tecnici necessari per decidere. I Comuni italiani, che sono la base dello Stato, che sono le autonomie per eccellenza, sono da tempo ridotti a” mendicare” da una parte e a farsi “ dissanguare” dall’altra. In questo ultimo decennio sono stati espropriati, mi si passi il termine piuttosto feroce ma veritiero, di miliardi di risorse finanziarie allo scopo di contribuire al risanamento delle finanze pubbliche. Oserei dire che solo i Comuni hanno pagato per tentare di mettere in ordine i conti dello Stato in tutte le sue articolazioni centrali e periferiche. Con la conseguenza che, mantenere o far fronte a nuovi servizi per l’aumento del disagio sociale e il decremento dei posti di lavoro, oppure realizzare, non dico nuove opere pubbliche che creerebbero posti di lavoro, ma almeno la manutenzione dell’esistente, è una fatica da Sisifo: Che demoralizza tanto gli amministratori quanto i funzionari comunali oberati, questi ultimi, da mille e incredibili incombenze, con responsabilità sempre maggiori, ma con retribuzioni davvero misere, se non indecenti. Agli amministratori, al momento del loro insediamento, viene chiesto di esporre il programma di politica amministrativa quinquennale, senza che abbiano la certezza delle risorse per attuarlo! Ai funzionari si richiedono pareri e competenze in un quadro legislativo che cambia di giorno in giorno e che siano rispettose delle determinazioni delle varie Autorità superiori- l’ultima in ordine di tempo quella per la quale lo Stato(!) certifica l’esistenza della corruzione- della Corte dei Conti o dei vari tribunali, primo fra tutti i Tar che dilatano a” biblici” i tempi delle decisioni. E tutto questo, quando va bene, per sì e no, 1500 euro al mese, anche se con laurea, e con la irrispettosa definizione di fannulloni da parte dell’opinione pubblica. Se proprio si deve parlare di autonomia, che ho imparato a conoscere dai testi Sturziani, sarebbe opportuno che si cominciasse, e con urgenza, a ridisegnare, nella vita dello Stato, il ruolo primario dei Comuni, e delle Provincie, senza doverlo continuamente modificare. La vigente Costituzione, come è noto, individua i Comuni come primo elemento dello Stato, come i mattoni su cui si poggia tutta la struttura istituzionale. Le Regioni sono addirittura al quarto posto, dopo le Provincie e le città metropolitane! Ai Comuni, e non alle Regioni ,va restituito il residuo fiscale; anzi, non deve nemmeno essere sottratto all’origine se non per far fronte a quei servizi di carattere che devono restare di competenza statale- la difesa nazionale e il controllo del territorio, ad esempio. E’ sul territorio dei Comuni che si produce reddito e lì deve restare. Se i Comuni sono messi nelle condizioni di funzionare, anche lo Stato ne sentirà i benefici. Oggi, invece, i Comuni sono costretti, con il cappello in mano, a chiedere l’elemosina agli angoli, magari, di quegli immensi palazzi che sono le Regioni, dove, determinante per l’elemosina, è anche l’appartenenza allo stesso colore politico. Noi Comuni dobbiamo rispettare i tetti di spesa, ma grattacieli ce li hanno i tetti? Che si tolga ai Comuni per assegnare ad altri che, con evidenza, stanno meglio ( confrontare gli stipendi e/o i benefit dei dipendenti e degli amministratori comunale con quelli, ad esempio delle Regioni) è una vera ingiustizia. Noi sindaci, assessori e consiglieri comunali, che ricomprendo, come molti miei colleghi già sanno, nella categoria dei “matti”(perché solo un matto può mettersi in gioco in queste condizioni) dobbiamo far sentire la nostra voce con più forza, con più insistenza, senza alcuna riverenza nei confronti dell’ ANCI, del Parlamento e dei Consigli regionali nella loro attività legislativa. Ci spetta la vera autonomia istituzionale e fiscale perché l’efficienza e l’efficacia di un Comune sono anche il biglietto da visita di uno Stato democratico, quale vuole e deve continuare a essere l’Italia. Altro che referendum!

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Pubblicato il 01 Novembre 2017
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