Made in Mobert, la qualità paga sempre

La terza media della scuola Leonardo da Vinci in visita all'azienda che da quasi 60 anni produce macchine per lo stampaggio dei sacchetti di plastica

«Potremmo dire che esiste un made in Mobert». La battuta di Emanuela Da Ronch, insegnante di tecnologia alla scuola media Leonardo Da Vinci di Castellanza, sintetizza in modo perfetto il tema dell’ottava edizione del Pmy day organizzato da Univa e dedicata, appunto, alla lotta alla contraffazione.

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Mobert e pmi day 4 di 23

La Mobert, specializzata nella produzione di macchinari per lo stampaggio di sacchetti di plastica anche biodegradabile, che usiamo quotidianamente per fare la spesa e per la raccolta differenziata, ha fatto della qualità della produzione il suo biglietto da visita. «Abbiamo diversi brevetti depositati a livello europeo – spiega Maurizio Toniato, uno dei tre titolari dell’azienda – sono più analitici e quindi ti tutelano meglio, garantendo un’esclusiva per 20 anni».

«Avete capito?- chiede l’insegnante agli studenti -. Nella vita reale non si copia e chi ha fatto bene il proprio compito deve essere tutelato, come questa azienda».
Accanto a Toniato c’è Simona Trezzi che insieme al fratello Roberto, figli del fondatore Napoleone Trezzi, detengono le restanti quote societarie della Mobert. «Noi facciamo investimenti in ricerca e sviluppo – dice l’imprenditrice – cerchiamo le soluzioni migliori per le richieste del cliente e a volte qualcuno ce le copia. Recentemente è successo con un concorrente italiano con cui siamo stati in causa 4 anni e il giudice ci ha dato ragione».

Se si vuole stare sul mercato, secondo Toniato, bisogna trovare il giusto equilibrio tra qualità e prezzo. Alla Mobert hanno iniziato a registrare brevetti nel 1968 e la crescita è stata costante. «Nel 2017 ne abbiamo già registrati tre – spiega l’imprenditore – perché l’esperienza dimostra che i molti casi l’innovazione contribuisce a far abbassare il prezzo finale del prodotto».

I fornitori della Mobert sono quasi tutti del territorio. D’altronde non c’è bisogno di guardare altrove perché nel Varesotto e nell’Altomilanese la filiera metalmeccanica tiene duro e compete alla pari con i tedeschi. «Ci serviamo dalle meccaniche  della zona  – sottolinea Toniato – con l’unica eccezione per i motori elettronici di potenza, quelli tedeschi garantiscono standard notevoli».

Il fatturato è di circa 9 milioni di euro con una buona ripresa della domanda interna nell’ultimo anno grazie al super e all’iperammortamento che hanno stimolato gli investimenti e il ricambio del parco macchine.

Dei 40 dipendenti buona parte hanno una formazione tecnica acquisita negli istituti e nelle scuole professionali. Sul nuovo sistema duale invece il giudizio non è positivo perché non sempre le piccole imprese hanno una risorsa da affiancare allo studente in azienda. «L’alternanza scuola-lavoro – commenta Simona Trezzi – ha senso solo se c’è un progetto di lungo periodo. I nostri collaboratori sono tutti operai specializzati, periti, ingegneri meccanici ed elettronici con un’età media di 45 anni, persone che lavorano con noi da sempre».

«Notiamo un certo scollegamento tra il mondo della scuola e quello delle imprese – conclude Toniato -. Mi è capitato personalmente di chiedere a una scuola i dati dei neodiplomati perché avevamo una posizione aperta, ma mi sono sentito rispondere che per motivi di privacy non potevano fornirli».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 14 Novembre 2017
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