Leader democratico dello Zimbabwe a Varese, è in fuga da Mugabe

Solomon Madzore, 41 anni, è arrivato a Varese in settembre e ha chiesto asilo politico dopo anni di carcere e una lotta democratica durissima

Solomon Madzore contro Mugabe

E’ stato tre volte in prigione, ma è stato arrestato anche più volte perchè nel suo paese, lo Zimbabwe, i politici di opposizione non hanno vita facile. Solomon Madzore, ora, è in Italia, a Varese. 41 anni, parlamentare, è il leader storico del movimento giovanile dell’Mdc (Movement for democratic change), il principale partito di opposizione all’ex presidente Mugabe, appena rimosso da un colpo di stato dei militari che però non sembra aver avviato il paese verso un’apertura politica.

Solomon ha chiesto asilo in Italia e trovato accoglienza, dopo una rocambolesca fuga per il mondo, alla cooperativa Agrisol Servizi a Caravate, dove si è già distinto per cultura e attivismo. Del suo caso hanno parlato alcuni articoli del Guardian e della Bbc online. Sul web si trovano diversi articoli articoli in cui viene definito dai leader del suo partito un eroe.

MUGABE ASINO ZOPPO

Nel 2013 viene arrestato, e poi liberato su cauzione perché in una manifestazione del suo partito, una formazione di centrosinistra, avrebbe descritto la situazione politica spiegando che Mugabe è un “asino zoppo”. La costituzione, emendata negli anni, prevede che si possa incarcerare anche chi allude con espressioni poco rispettose alla figura della carica del presidente.
“In realtà ho solo parlato del modo in cui Mugabe ha operato in parlamento – spiega Solomon – ma con questa scusa è comune arrestare oppositori politici, militanti dei diritti umani o anche solo semplici cittadini che protestano”.

L’ARRESTO ILLEGALE

Mr. Madzore è uno dei collaboratori del leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai. Arrestato per la prima volta nel 2000, viene rilasciato dopo poche ore, ma è nel 2007 che vive la prima terribile esperienza di carcerazione. “Eravamo ad Harare, nella capitale, io e un amico, viaggiavamo nel traffico e stavamo andando a una riunione di una organizzazione. All’improvviso l’automobile che si trovava di fronte a me si blocca, escono due uomini armati, in borghese, e ci puntano le armi. Fummo presi e portati dentro un furgone, legati con la mano destra alla portiera di sinistra e viceversa. Il 2007 è un anno in cui vi fu una stretta repressiva molto forte. Ci portarono in una stazione di polizia. Mi spaccarono in faccia il telefono. Eravamo ammanettati insieme, anche per andare in bagno. Fummo portati in una fabbrica di vestiti, in una zona rurale, in un centro di detenzione non ufficiale. Ci picchiarono, legati a una sedia, bastonandoci le piante dei piedi come tortura, ma fermandosi prima che rimanessero i segni, affinché non vi fossero prove di fronte a un giudice. Una volta tornati in una stazione di polizia ufficiale fummo destinati a un noto centro di tortura chiamato Goromonzi. Solo il nome basta a mettere paura a una persona del mio paese. Ci rimasi circa cinque giorni, in cui fui continuamente picchiato, fino a che mi liberarono”.

LA LOTTA CONTINUA

Ad alcuni può sembrare che dopo una tale esperienza si smetta di fare politica, ma Solomon pensa da leader. Nel 2011 ha passato altro 405 giorni in prigione a causa della sua attività politica (qui il racconto di quella esperienza“Mi hanno accusato di sabotaggio e anche della morte di un poliziotto, ma il mio unico crimine è quello di essere un leader politico. Per anni abbiamo fatto resistenza passiva e organizzato manifestazioni che venivano vietate. Alla polizia dicevamo che non potevamo chiedere un appuntamento a Mugabe per protestare contro di lui – sottolinea con ironia – ero consapevole del rischio, potevano uccidermi, ma io sono stato eletto e non nominato, guido un gruppo a cui tante persone hanno dato fiducia, è mio dovere andare avanti perchè nessuno ha il diritto di possedere la tua vita”.

(il video del suo rilascio)

Il racconto degli ultimi giorni in Zimbabwe, la scorsa primavera, è tragico e appassionante come un romanzo. Ad aprile già si stava intuendo che il regime di Mugabe era in difficoltà, un prologo al colpo di stato militare (leggi) che a novembre lo ha deposto ma non ha ancora aperto la strada a nuove elezioni democratiche (leggi com’è finita in Zimbabwe).

SPARI, TERRORE E FUGA

Madzore si trova a una manifestazione fuori città, ma un vicino di casa lo chiama e gli dice di tornare perché sta accadendo qualcosa di strano a casa sua. La moglie Charity e i due figli piccoli, Vicent di 9 anni e Vitalis di 4, sono in casa ma quando arriva davanti al palazzo vede quattro furgoncini neri che sbarrano la strada.

Sono entrato in un giardino a lato della casa e ho guardato da fuori cosa accadeva. Un gruppo di vigilantes paramilitari stava urlando. Tra loro c’era anche un politico che avevo sconfitto alle elezioni e che appartiene al partito di Mugabe, lo Zanu Pf, una sorta di sentinella del quartiere. Chiedevano a mia moglie dove mi ero nascosto, erano armati, minacciosi. Le dicevano dov’era finito l’uomo che vuole unire e pacificare il paese, riferendosi a me. Poi hanno urlato che se non le avesse detto dove mi nascondevo l’avrebbero stuprata davanti ai bambini. A quel punto sono entrato di corsa in casa. C’è stato trambusto, sono fuggito, hanno sparato un colpo, poi un altro colpo che mi ha raggiunto alla spalla ma senza rompere l’osso. Sono caduto, mi sono rialzato e ho ricominciato a correre. Era il 18 aprile di quest’anno, l’ultimo giorno in cui ho visto mia moglie e i miei figli”.

Quello che accade dopo è una fuga continua. Solomon va dal fratello, ferito; lo braccano, ma la sua famiglia e il movimento lo fanno espatriare. Moglie e figli si spostano  in una zona periferica del paese. Viene rintracciato un accompagnatore che lo porta in aereo fino a Johannesburg, poi Istanbul, Lisbona e infine Malpensa. Parte a giugno, arriva a settembre, nel mezzo una girandola di situazioni. “L’Italia è il primo paese dove mi sono sentito al sicuro, e qui mi sono fermato – racconta ancora – ora farò quello che mi diranno gli italiani. Però amo il mio paese, e se il partito di Mugabe dovesse cadere, andrò via subito, ma oggi non posso tornare in Zimbabwe”.

La deposizione di Mugabe intanto passa in televisione in tutto il mondo, ma il ritorno della libertà e sicurezza per i cittadini dello Zimbabwe è ancora incerto.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 05 Dicembre 2017
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