A Varese la prima scuola intitolata a Tullio De Mauro
Il CPIA di via Brunico ha deciso di chiamarsi con il nome del linguista e studioso. Nel convegno a lui dedicato era presente la moglie che ne ha ricordato i valori e il lavoro
È in via Brunico a Varese la prima scuola intitolata a Tullio De Mauro. Allo studioso, linguista e scrittore, scomparso nel gennaio scorso, il collegio docenti del CPIA di Varese ha voluto dedicare la scuola che, costituita nel 2014, ancora non aveva un nome
«È stata una decisione collegiale che ci ha visto tutti d’accordo» ha spiegato il dirigente Roberto Caielli durante la mattinata organizzata per scoprire la nuova targa e ricordare il valore di questa figura.
La decisione del Centro varesino per l’Istruzione degli Adulti è stata salutata con favore dal sindaco Davide Galimberti : « È il segno importante della volontà di trovare una figura di riferimento a cui ispirarsi».
L’amore per la parola è stato sottolineato, durante i saluti delle istituzioni presenti e dei tanti dirigenti delle scuole del territorio, da Claudio Merletti a capo dell’Ufficio scolastico varesino: « Il valore di De Mauro sta proprio nell’importanza che diede alla parola, come simbolo di linguaggio, dialettale o nazionale. Il linguaggio è un bagaglio che determinerà tutta la nostra vita. A seconda della sua ampiezza, della facilità di utilizzo fornisce le potenzialità per sapersi esprimere, far comprendere. Avere un bagaglio linguistico vuol dire essere liberi, saper argomentare le proprie scelte, aver la possibilità di farsi comprendere. La scuola ha l’obbligo di fornire a ciascuno queste capacità: è un simbolo di democrazia dare a tutti gli strumenti per il confronto dialettico».
Il dirigente ha anche fatto cenno all’attuale sistema di scrittura in voga tra i giovani ricco di abbreviazioni e faccine: «È un modello che impoverisce e rischia di compromettere il nostro bagaglio culturale».
E che la padronanza della lingua sia un valore è stato rimarcato anche dalla vedova di Tullio De Mauro Silvana Ferreri invitata a presiedere a questa cerimonia, la prima in Italia: « Io credo che mio marito oggi sarebbe contento. Lui aveva a cuore due cose: la lingua e la società. Lo studio della lingua senza una comunità non aveva senso. Il suo lavoro più longevo lo scrisse che aveva trent’anni. Era dedicato allo studio dell’influenza che aveva la scuola nella vita delle persone. Ne intervistò moltissime, indagando tutti gli aspetti, sociali, culturali ed economici. Quella riflessione fu una costante: dall’analfabetismo letterale passò a quello funzionale cercando di far luce sulle capacità degli italiani di comprendere ciò che leggevano o ascoltavano».
Un problema attuale ancora oggi e su cui il CPIA vuole accendere i suoi riflettori.
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