Stefano Binda: “Non sono il barbaro assassino”

Deposizione in aula per l'accusato del delitto: le agende, gli appunti, i ricordi della vacanza a Pragelato

«Non ho scritto io quel biglietto». Stefano Binda viene interrogato in aula nel processo a suo carico. E nega. Nega tutto. La pg Gemma Gualdi gli elenca, tenacemente, punto per punto, i biglietti trovati nelle sue agende, a casa, i riferimenti, le poesie, i versi.

Le agende

In particolare quello rinvenuto nella pagina del 9 gennaio 1987, vicino a una foto di Lidia Macchi (la vittima), nella sua agenda di allora. Sul retro di una versione di greco, vi era la scritta: “Stefano è un barbaro assassino”. «Non sapevo di avere quel biglietto, lo dissi subito alla Squadra mobile, negai che fosse mio – ha detto in aula – ora lo confermo, non l’ho scritto io, non dico che qualcuno si sia introdotto nella mia camera e l’abbia inserito, però si trovava in un’agenda che poteva essere anche stata portata fuori casa. Il biglietto ritrae una versione di greco che credo sia databile agli anni scolastici. Le glosse ad esempio non sono mie».

L’imputato ha poi spiegato anche il retroscena, a suo dire, di altri scritti. “Dovrebbero strapparti gli occhi”, ad esempio, si riferisce al suo contrasto interno tra il mondo della droga e quello cattolico di CL: «Avevo deciso di smetterla con la droga, vivevo un contrasto tra la tensione al bene e la mia adesione a Comunione e Liberazione, e la dipendenza dalla droga. Non ero un tossico di piazza, ma ero dipendente. Una sera però incontrai degli amici, a Besozzo, e nel parchetto della stazione fumammo come bestie. Scrissi un altro biglietto, in cui dissi che avevo distrutto tutto, ma riferendomi a quella notte, in cui mi fu anche regalato un cilum, e con una cannuccia inalai dell’eroina per via nasale. Mi sentivo molto addolorato per averlo fatto».

Altro punto. Binda ha negato di aver mai detto, durante una commemorazione di Lidia Macchi, a Patrizia Bianchi una frase che suonava così: «Tu non sai che cosa sono stato capace di fare». «Lo escludo, non è mai successo» ha riferito. L’imputato ha negato inoltre di aver mai usato il simbolo di CL nei suoi scritti (un simbolo simile vi è anche nella lettera anonima che allude al delitto, secondo le accuse).

Testimonianza Stefano Binda processo Lidia Macchi

L’alibi

Incalzato da Gemma Gualdi, la Pg che sostiene l’accusa, Binda ha affermato nuovamente che la sera del 5 gennaio 1987, quando fu uccisa Lidia Macchi, si trovava a Pragelato, a una vacanza del movimento di Comunione e liberazione. Ma non ha saputo citare dei ricordi precisi; con chi fosse quel giorno, con chi parlava: «Ricordo distinantamente delle scene, e diverse delle persone nominate oggi in aula, ma non riesco a riferirle se fossero in quella vacanza a Pragelato a quella dell’anno prima». Come seppe della morte di Lidia? «Ricordo che una volta arrivati in piazza Monte Grappa, a Varese, vidi un insegnante, Bruschi, che disse ad alcuni di noi che non si trovava più la Lidia».

La conoscenza con Lidia

«Lidia non era tra le persone che frequentavo – ha poi ribattuto l’imputato – la notai quando al ritorno da una vacanzina, sul pullman, durante una pausa, mi sedetti, e Lidia era vicino a me che parlava di una assemblea con una persona».

L’accusa ha chiesto nuovi atti di indagine. L’udienza è stata aggiornata al 2 febbraio.

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Pubblicato il 16 Gennaio 2018
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