In un anno 58 morti sul lavoro: il sistema di prevenzione ha fallito

In Lombardia nel 2017 nella sola industria ci sono stati oltre 27mila infortuni. I segretari di Fiom, Fim e Uilm propongono un nuovo modello per la sicurezza nei luoghi di lavoro

sindacati dei metalmeccanici

I quattro morti della Lamina spa di Milano hanno segnato uno spartiacque sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per i sindacati dei metalmeccanici. Il 19 gennaio a Varese, tre giorni dopo la tragedia, i segretari provinciali di Fiom, Fim e Uilm erano già in prefettura per fare una richiesta precisa. «Quella mattina – racconta Stefania Filetti segretario della Fiom Cgil – chiedemmo al Prefetto di farsi tramite per istituire un tavolo di regia sulla prevenzione e la cultura della sicurezza. Le buone pratiche ci sono già. Per esempio in Brianza e nella stessa Milano sono stati istituiti osservatori sugli infortuni promossa dai sindacati di categoria e Assolombarda, mentre a Bergamo e sempre a Milano sono state costituite vere task force per analizzare i rischi dei vari settori». (foto, da destra: Francesco Nicolia, Stefania Filetti e Paolo Carini)

I metalmeccanici, si sa, sono sempre stati un passo avanti nelle relazioni industriali e le loro prese di posizione hanno un valore politico in grado di dare un indirizzo alle scelte da fare. Quella richiesta, dunque, non è una semplice reazione a caldo rispetto a un dramma nazionale ma la presa d’atto della necessità di un intervento concreto di fronte a una situazione resa insostenibile dai numeri. Nel 2017 in Lombardia nella sola industria ci sono stati 58 morti sul lavoro su un totale di 27.395 infortuni. «Abbiamo capito – continua Filetti – che dopo dieci anni di applicazione del testo unico sulla sicurezza si doveva cambiare passo». L’indebolimento sistematico della normativa ne ha praticamente decretato il fallimento.

Gli esperti vanno ripetendo da molti anni che l’infortunio sul lavoro non è mai una fatalità. Sono sempre due gli elementi che lo caratterizzano: la mancanza di controlli adeguati e la scarsa cultura della sicurezza sia da parte delle imprese, soprattutto piccole, che dei lavoratori.  «Fintanto che la gestione della sicurezza – aggiunge Paolo Carini segretario della Fim Cisl dei Laghi – continuerà a oscillare tra adempimenti burocratici e interventi ex post della magistratura, noi continueremo a piangere morti sul lavoro. In mezzo a questi due estremi c’è una prateria in cui si devono inserire azioni per costruire una prevenzione efficace. Bisogna provare  a sperimentare un modello nuovo che incida realmente nella cultura della sicurezza. Proprio come è accaduto con le cinture di sicurezza».

I processi culturali richiedono molto tempo prima di essere assimilati dal corpo sociale. Il modello a cui fanno riferimento i metalmeccanici varesini, oltre a coinvolgere attivamente i vari soggetti interessati (Ats, Inail), fa leva su alcune azioni già presenti nel contratto collettivo rinnovato del 2016. Azioni che sembrano scontate ma che non lo sono affatto, come il coinvolgimento delle rls (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) nella valutazione dei rischi e nella programmazione della prevenzione, la valutazione dei “quasi infortuni” e delle misure di adottare per evitare che si verifichino, l’informazione periodica (trimestrale) sui temi della sicurezza, fattori di rischio e tipologie dei “quasi infortuni”, l’organizzazione nelle aziende di almeno due incontri annuali nelle diverse aree di lavoro sui fattori di rischio e sulle soluzioni da adottare, la sperimentazione di “break formativi” di 15 minuti direttamente sul posto di lavoro in orario di turno per aggiornare i lavoratori.

«Abbiamo l’esigenza di spingere sulle istituzioni – sottolinea Francesco Nicolia segretario della Uilm – per accelerare i tempi di intervento. Sulla sicurezza bisogna fare investimenti purtroppo spesso considerati un costo dalle imprese e una spesa da tagliare per le istituzioni. Se è vero che alla Lamina c’era un’attenzione alla sicurezza, c’era il sindacato, si facevano investimenti in quella direzione, allora vuol dire che il sistema non funziona a partire dalla formazione. Quello che è successo nell’esplosione di Ternate pochi giorni fa dimostra che c’è ancora molto da fare soprattutto nelle piccole imprese. Infine c’è il tema relativo alle rls che non riescono a creare percorsi adeguati perché trovano resistenze all’interno delle aziende».

I lavoratori eletti dai loro colleghi per vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro non sempre sono messi in condizione di svolgere la loro funzione nel modo migliore. Dovrebbero avere uno spazio dedicato, dovrebbero essere riconoscibili, dovrebbero avere strumenti adeguati, per esempio dei computer, per pianificare meglio il loro lavoro. Dovrebbero avere, appunto. Ma ancora non hanno.

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Pubblicato il 15 Marzo 2018
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