Quel giorno buio in cui rapirono Aldo Moro, il ricordo dei lettori

La vicenda ha avuto grandi conseguenze sul piano politico ma ancor di più nell’immaginario della gente. Raccontateci il vostro ricordo di quei momenti

aldo moro

Il rapimento di Aldo Moro è un episodio che ha scritto un capitolo doloroso e indelebile nella storia del nostro paese.

La vicenda ha avuto grandi conseguenze sul piano politico ma ancor di più nell’immaginario e nei ricordi della gente che in quel momento visse l’apice della stagione buia del terrorismo italiano.

Chi ha vissuto quei momenti ricorda distintamente cosa accadde e quali furono le emozioni provate.

(Qual è il tuo ricordo di quei giorni? Raccontacelo qui)

Emblematico il racconto di Gianni Geraci, a quell’epoca a lezione di educazione artistica al liceo scientifico di Luino.

“Ricordo ancora l’ingresso del bidello (il mitico Sergio) con un biglietto. La professoressa Guenzani, dopo averlo letto, ci disse che, in seguito al rapimento di Aldo Moro e all’uccisione della sua scorta da parte delle Brigate Rosse, i sindacati, avevano proclamato uno sciopero generale e ci invitava ad aderire con lei a questo sciopero. Siamo usciti dall’aula e, Invece di andare a casa, ci siamo autoconvocati in “assemblea degli studenti”. In qualunque altro momento un’autoconvocazione avrebbe suscitato le ire del preside Alfré che, invece, quel giorno, era lì con noi e ci ascoltava mentre ci chiedevamo cosa potevamo fare. (…) Era diventato chiaro che eravamo tutti sulla stessa barca e che, prima ancora delle idee diverse, c’era l’amore per quella democrazia che ci permetteva di esprimerle. Ed è grazie a quel clima di unità che l’Italia è riuscita a superare uno dei passaggi più delicati della sua storia. E ripensando a quel giorno spero davvero tanto che quello stesso clima possa tornare e spazzare via tutto l’odio che si legge nei post che certi “leoni della tastiera” ci propinano ogni giorno”.

Intenso anche il ricordo lasciato su Facebook di Edoardo Zin, professore di Casciago:

“Quaranta anni fa. Ero ad una riunione presso la sede dell’ANFE (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati). Con me c’erano Cesare Scurati, docente di pedagogia alla “Cattolica” e Gian Leonildo Zani, pedagogista ed esperto in pedagogia comparata. Sotto la presidenza di Maria Federici, stavamo preparando un piano curricolare (così si chiamava allora!) per i ragazzi delle elementari frequentanti i corsi d’italiano all’estero. Entrò la segretaria e strillò:” Hanno rapito Moro!”. Maria Federici, che era stata collega di Moro alla Costituente, prese il suo bastoncino, si alzò, ma cadde sulla sedia, impallidita. Le diedero un bicchiere di acqua. La riunione venne sospesa e noi tre cercammo di avere altre notizie, scendendo sulla via: All’uscita del portone del palazzo di piazza Firenze, nel cuore della Roma “politica”, fummo subito fermati da soldati in tenuta da guerra che ci intimarono di ritornare indietro: Roma era blindatissima! Passarono le ore e noi vivevamo come sequestrati. Ci riunimmo nella sala di un’altra associazione e dalla televisione seguimmo gli eventi. Quando ci fu permesso di uscire, ci avviammo in albergo. Nella stanza francescana che mi ospitava, pensai alla parole he ci disse Moro durante un non programmato incontro presso la sede romana della Comunità di Taizè:” Voi, giovani, pensate che noi politici abbiamo un’autorità immensa, che possiamo fare e disfare in un solo colpo. Niente di più falso. Noi dobbiamo fare sintesi e ciò è ancor più faticoso e incerto!”.

Questo il ricordo di Angelo Protasoni ex asssessore Gallarate

“C’era un radio privata in via Trombini, di proprietà di uno dei Fratelli Fabbri Editori.
Non appena le cose furono un pochino chiare, già nel primo pomeriggio, iniziammo una lunga trasmissione in diretta per cercare di capire e giudicare quello che stava succedendo – e perché.
Io partecipavo come Segretario Cittadino del Partito Repubblicano, forza politica da tempo dichiaratamente favorevole a quel Compromesso Storico stroncato sul nascere da questa tragedia.
E la riflessione sulle cause e sul possibile epilogo fu purtroppo abbastanza semplice e confermata dai fatti: la sentenza era già stata scritta”.

Il ricordo di Margherita Silvestrini

“ll mattino del 16 marzo 1978 la notizia del rapimento di Aldo Moro arrivò mentre stavamo entrando in classe, facevo la V ginnasio, si chiamava così il 2° anno del liceo classico.
Ero troppo giovane per capire la portata di quella notizia.
Oggi sono quarant’anni esatti dal rapimento di Moro e dall’uccisione del maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, del brigadiere Francesco Zizzi, dell’appuntato Domenico Ricci, degli agenti Raffaele Jozzino e Giuliano Rivera (ricordiamoli con i loro nomi, non solo come “gli agenti della scorta”). Sono convinta che il rapimento e poi l’assassinio di Moro costituiscano lo spartiacque della politica italiana.
Se fosse stato restituito alla sua famiglia, se i rapitori avessero avuto un moto di umana compassione (ricordo con emozione l’appello accorato di Paolo VI agli “uomini delle brigate rosse…”), se Moro fosse tornato alla politica, la storia del nostro paese sarebbe stata diversa e, mi piace pensare, migliore.
Regalerò ai miei figli”

Il ricordo di Isabella Magli

Ricordo quel giorno come fosse oggi. Lavoravo a Milano ai telefoni ASST, scesi dal treno intorno alle 9 e 30. Si percepiva qualcosa di strano nell’aria, infatti appena giunsi in centrale qualcuno che ascoltava la Radio in quel mentre annunciò il rapimento di Moro. Abbandonammo il posto di lavoro e ritornammo alla Stazione in mezzo ad una marea di gente sconvolta e confusa . Anche il giorno che lo ritrovarono morto lo ricordo chiaramente. Ancora oggi quando ci penso mi prende un senso di sconforto e di malinconia.

Il ricordo di Gianni Mazzoleni

Avevo venticinque anni, lavoravo a Milano ed ero segretario P.C.I. della sezione di Daverio. La notizia della strage di Via Fani mi colse in ufficio, pensai a un preoccupante salto di qualità del terrorismo. Come tanti giovani di allora non ero convinto della svolta politica insita nel compromesso storico, ma contrariamente a non pochi che allora propugnavano la tesi contraria, tra Stato e Brigate Rosse sceglievo lo Stato. Ricordo l’angoscia degli interminabili giorni del sequestro, le discussioni in sezione, ma anche al bar con gli amici, tra la linea della fermezza e quella della trattativa. Io ero per la fermezza, aborrivo l’idea di riconoscere dignità di interlocuzione a degli assassini. E più di uno, nella mia cerchia di conoscenti, in quei drammatici giorni, prese coscienza e riconobbe che tali erano e non “compagni che sbagliano”.  Ne ebbi la controprova qualche mese dopo, ai funerali a Milano di un’altra vittima del terrorismo, Emilio Alessandrini. Non avevo mai visto e non ho mai visto tanta gente come in quella occasione. A riprova che il sacrifico di Moro e della sua scorta aveva scosso le coscienze e non era stato vano.

Anche l’ex sindaco di Varese Pippo Gibilisco ricorda quei giorni. Ecco la sua lettera 

Lo ricorda nel suo scritto Eros Barone: ecco la sua lettera 

Molti altri i ricordi tra i commenti dei lettori sulla nostra pagina Facebook:

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Pubblicato il 16 Marzo 2018
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