Le università non devono formare solo pensatori
Giovanni Floridi, responsabile della ricerca e sviluppo della Lamberti spa, spiega la difficoltà che ha oggi un'azienda nel reperire ricercatori già formati
«Quello che serve oggi sono ricercatori industriali, mentre il sistema universitario italiano tende a formare pensatori». A parlare è Giovanni Floridi responsabile della ricerca e sviluppo alla Lamberti spa di Albizzate. Quello della chimica è un mondo che Floridi conosce benissimo sia sul piano accademico che su quello industriale. Dopo una laurea in fisica dei materiali a Perugia, un phd a L’Aquila e un post dottorato alla Federico II di Napoli, approda prima alla Donegani di Novara, azienda del gruppo Enichem, e poi alla Novamont, famosa per aver brevettato il Mater-Bi la plastica biodegradabile e compostabile a base di amido di mais e oli vegetali usata per i sacchetti dei supermercati e per tante altre applicazioni.
«La ricerca è fondamentale – spiega Floridi – e qui in Lamberti se ne fa tanta. Il problema che ha la chimica in Italia è il reperimento di alcune figure professionali. Un tempo c’erano gli istituti tecnici che ti davano una grande preparazione oggi quelli che entrano in azienda hanno conoscenze prettamente scolastiche e tocca a noi formarli come ricercatori industriali».
La questione che pone Floridi è dibattuta da tempo: quale deve essere il ruolo delle università? È un loro compito formare figure già pronte per l’industria oppure non lo è? E ancora, ci si deve accontentare di alcuni picchi di eccellenza, rappresentati da quelli che lui definisce «i pensatori», oppure avere uno standard complessivo più alto? «Credo che la vera missione sia elevare il livello medio – continua il manager della Lamberti -. Noi lavoriamo su progetti mirati con università italiane ed europee. Mentre le prime hanno come obiettivo principale la pubblicazione, quelle tedesche, per fare un esempio, no. Anzi tendono a rendere tutto meno difficoltoso e meno burocratico».
Paesi come la Germania, la Francia o gli Usa hanno da tempo capitalizzato la conoscenza, riconoscendo il valore di una collaborazione attiva tra università, ricerca e aziende. Cercare di collegare il più possibile il mondo accademico alla realtà in cui viviamo è una questione di impostazione culturale e come tale richiede tempo. Costruire infatti quello che gli economisti chiamano un ecosistema virtuoso che colleghi tutti i soggetti in campo è tutt’altro che semplice. «L’ecosistema è fondamentale perché industrie come la nostra lavorano a progetti di ricerca in modo strategico partendo dai megatrend – conclude Floridi -. E non potrebbe essere altrimenti perché i grandi mutamenti sociali, tecnologici ed economici che durano in prospettiva sono quelli su cui bisogna investire».
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