Gino Paoli: “Ho cominciato scambiando pomodori in cambio di dischi”

Al Premio Chiara Parole della Musica il grande cantautore ligure ripercorre sessant'anni di carriera, di storia italiana e storia della musica

Gino Paoli al Premio Chiara

Protagonista di una stagione che sembra irripetibile, custode della storia della canzone italiana d’autore, Gino Paoli arriva a Varese per il Premio Chiara Parole della Musica e regala un racconto emozionante, ironico, fatto di tanti incontri.

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Gino Paoli al Premio Chiara 4 di 34

«Ho cominciato scambiando pomodori per dischi» ha ricordato Paoli. Era il primissimo dopoguerra, a Pegli, periferia della Grande Genova ferita dai bombardamenti alleati e dalla battaglia per la Liberazione. Se ne vanno i tedeschi, arrivano gli americani, carichi di ogni ben di Dio, musica compresa. «Ma non avevano i prodotti freschi, mentre noi avevamo gli orti di guerra. Io davo i pomodori, loro mi davano i V-disc, i dischi che gli artisti americani incidevano senza compenso per i soldati».

È una, solo una delle tradizioni che confluiranno nella sua canzone e nella nuova canzone italiana d’autore, forgiata tra le difficoltà e le speranze di quegli anni. “Tra la via Emilia e il West”, tra il paesaggio umano italiano e l’immaginario americano, come avrebbe detto Francesco Guccini, tra i premiati in precedenti edizioni di Premio Chiara Parole della Musica (come ha ricordato in apertura Vittorio Colombo).

«Mio padre ascoltava Giordana, Puccini. Erano queste le mie due radici: la musica operistica e quella americana. E poi anche la canzone napoletana» ha continuato poi Paoli. È su queste basi che sessant’anni fa (quasi) esatti, nel 1959, Paoli esordì con i primi singoli, anticipando l’improvviso successo dell’autobiografica La gatta: «La gatta uscì in forse 80 copie. Poi in estate ha iniziato a girare nei juke box. In 3 mesi mi son ritrovato ad essere un divo della canzone».

Gino Paoli al Premio Chiara

«Prima le canzoni erano diventate solo divertimento. Noi cantautori abbiamo cambiato le carte in tavola, siamo tornati a farli diventare espressione. Ma i francesi sì, i francesi avevano cominciato da chissà quando». Trenet, Brassens, Brel «belga dal francese duro», Aznavour. Tutti incrociati in carriera da Paoli, molti tradotti. «L’unico che non ho conosciuto è Brassens». Faceva forse anche un po’ anche il confine, ma è dalla Liguria che passò la scoperta dei francesi, altro grande traduttore dei francesi fu De Andrè.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 20 Maggio 2018
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