Essere mamma di un terrorista: la dolorosa testimonianza di Valeria Collina

Valeria Collina ha raccontato all’aula magna dell’università dell’Insubria la sua esperienza prima e dopo la morte da “martire” di suo figlio Youssef Zaghba l’anno scorso, durante l’attentato di Londra del 3 giugno.

Valeria Cappella, mamma di un terrorista, parla a Varese

La mamma di un terrorista jihadista é innanzitutto una mamma. E la mamma italiana di un terrorista jhiadista è innanzitutto una mamma italiana, che spera la felicità per suo figlio e fino all’ultimo gliela augura. Ma quando il figlio muore provocando un attentato che uccide nove persone tra cui lui stesso, apre un abisso di domande: la più importante delle quali è cosa può fare perchè altre mamme non piangano i figli in questo modo.

E’ questo l’insegnamento primario della straordinaria testimonianza di Valeria Collina, che ha raccontato all’aula magna dell’università dell’Insubria, in un incontro organizzato nell’ambito delle Giornate di studio su religioni monoteiste e modernità, la sua esperienza prima e dopo la morte da “martire” di suo figlio Youssef Zaghba l’anno scorso, durante l’attentato di Londra del 3 giugno.

Così, dopo la morte del figlio, Valeria – emiliana da molti anni convertita all’Islam – ha fondato l’associazione “Rahma – misericordia” per la prevenzione della radicalizzazione terroristica e ha raccontato la sua storia in un libro pubblicato da Rizzoli del titoli “Nel nome di chi”. E ora va in giro per l’Italia, ancora fresca di dolore, a raccontare cos’è successo, a raccontare che l’Islam non è cosi, che suo figlio aveva problemi anche con la comunità islamica, dopo che era stato fermato all’aeroporto di Bologna mentre tentava di andare in Siria via Istambul.

«Dopo la separazione da suo padre, io sono tornata in Italia, lui invece si è diviso tra Londra e il Marocco. Si stava già radicalizzando: mi parlava della Siria come di un posto dove vivere la religione in maniera più completa. Era tutta propaganda. Da Londra mi facevo anche mandare delle foto: della casa, degli amici del luogo di lavoro. Dopo i primi tempi difficili, mi sembrava che avesse trovato una strada». 

Valeria Cappella, mamma di un terrorista, parla a Varese

Le mamme tutto sperano, tutto sopportano, e si aggrappano alle proprie esperienze e al proprio bagaglio culturale per coltivare una speranza. «Io sono emiliana, ho la cultura del lavoro. Quando è tornato a Londra, e ho capito che di lavori ne aveva addirittura tre, ho pensato “è fatta, ne sta uscendo fuori”. E invece, forse stava già progettando l’estremo sacrificio per guadagnarsi il paradiso che gli avevano promesso».

Il rapporto madre e figlio non si ferma mai, e affronta spesso domande morali e religiose, in un dialogo profondo che non si è mai interrotto: «Ad un certo punto della sua vita mi disse “mamma, perchè non mi trovi una moglie?” è una usanza ancora viva in Marocco, non è molto moderna ma non era così strana come richiesta. Quando lo fermarono mentre stava per andare in Siria però, fece quello che lui definì “una grande sciocchezza”: perchè dopo quella vicenda, nemmeno gli amici di papà in Marocco, volevano più dargli in moglie la loro figlia». E’ stato poco dopo che mamma Valeria si è sentita dire “Mamma, e se invece di una moglie sola ne avessi molte?” «Li mi vennero i brividi: citò un termine che mi fece capire che intendeva le mogli promesse in paradiso ai martiri».

Il suo ragazzo era già sotto controllo delle forze dell’ordine italiane, che avevano avvertito Londra. Ma in Inghilterra un controllo come in Italia non era possibile. «Quando l’ho visto radicalizzarsi.  ho fatto tutto il possibile, dallo psicologo, al religioso, alla mamma. Ma da lontano non potevo fare di più».

Il suo racconto ha una grande forza, anche di fronte alle domande più faticose o sgradevoli. Persino alla domanda «Nella sua storia personale ci ha raccontato che lei cercava qualcosa di estremo, di assoluto, non pensa che così ha trasmesso a suo figlio le basi di una ricerca estrema e assoluta?» una domanda difficile e un giudizio duro al suo operato di donna che ha studiato a Bologna negli anni dopo il 68, ha provato le religioni orientali ed è espatriata in Marocco per seguire l’Islam.

Ma la risposta non si è fatta attendere: «Certo che l’ho pensato. Ed è per questo che sono qui a raccontarlo, a raccontare questa storia. Perchè altri ne possano trarre insegnamento o anche solo spunto di riflessione»

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Maggio 2018
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