Via Francigena: da Alpe Bardone a Berceto

La terza tappa entra nel cuore degli appennini e protagonisti, complice anche le buone bevute, diventano gli incontro e le riflessioni sull'Italia e dull'Europa

Via Francigena Marco Pinti

Da lunedì pubblichiamo un nuovo diario sulla Via Francigena. Il protagonista questa volta non è il nostro direttore (qui i suoi racconti), ma Marco Pinti che ha percorso sette tappe tra l’Emilia e la Toscana partendo da Fidenza l’11 Luglio per poi arrivare fino ad Avenza.

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La via Francigena di Marco Pinti 4 di 11

Il suo diario è stato scritto nei giorni seguenti il suo ritorno a Varese. Marco è noto in città anche per l’impegno politico come segretario della sezione varesina della Lega Nord. 

IL DIARIO del 13 luglio

Il padrone di casa che ci ha invitato al banchetto è anche il proprietario del campeggio. Così non paghiamo niente, piazziamo le tende e facciamo la doccia. Giochiamo anche a fresbee: scopro di avere un talento innato in questa disciplina. Sarà l’infanzia passata tra i cani…

La mattina successiva sono il primo a partire. Ancora prima del solito, alle sei e mezza, sono già quasi al paese sopra Bardone, Trenzo. Finalmente ho ingranato il mio bel passo da montagna, sembrano viaggiare con me le colline alla mia destra e alla mia sinistra che vigilano sulle città moderne del fondovalle. Laggiù vive un sacco di gente che sta maledicendo la sveglia del lunedì mattina e io, che potrei dormire, sono qui a inerpicarmi sul sentiero che scollina verso un’altra valle dove una decisa salita mi immerge finalmente in una pineta, aria di casa dopo tanti faggi e castagni appenninici.

La mappa avverte di fare attenzione ai calanchi, ma fortunatamente non ho la minima idea di cosa siano (mostri mitologici ?), perciò procedo tranquillamente con lo sguardo a perdersi tra i filari degli alberi. Il suono di una campana promette un borgo vicino. E’ quello di Cassio, dove mi fermo a mangiare. Quando riprendo la provinciale mi imbatto in una pattuglia di carabinieri che fa un posto di blocco. Mi palettano e ridendo minacciano l’antidoping, poi si parla. Il più anziano mi racconta che sono solo in cinque in caserma e che fare il carabiniere in quelle zone è bello, ma dopo venticinque anni preferirebbe andare in una città dove “fai otto ore e hai finito. Qui invece, in servizio o no, sei sempre il carabiniere.” Deve essere l’orario buono per gli incontri visto che dopo i due militari incrocio una famiglia che procede in senso contrario. Madre, padre e due figlie sui quindici anni, da Torino, cammineranno insieme per tre giorni. Il coraggio di stare insieme non gli manca. Gli chiedo se han visto dei francesi, non ne han visti: “dai dai che arrivo primo”. Il paese seguente è Collonchio che si attraversa sui ciottoli originali del Medioevo, poi è tutta discesa, di nuovo su asfalto, fino a Berceto.

In principio monastero longobardo sotto Liutprando, la città si sviluppa intorno alla chiesa in un paio di cerchi concentrici. Interessante la scultura sul frontone del duomo: un asino che suona la lira a simboleggiare la stupidità delle eresie pagane rispetto al messaggio cristiano.

Quando Olivier e Fleur arrivano mi trovano di nuovo al bar, salutano e passano oltre, chissà cosa pensano …”sempre al bar questo qui”…  Ci ritroviamo tutti e tre dopo poco, nella foresteria dei Salesiani di Berceto che ospita i pellegrini della Francigena, offrendo letto, bagno e uso cucina, senza chiedere altro che un offerta libera.
Fleur ha appena saputo di aver passato l’esame finale per la triennale di psicologia, così festeggiamo al bar di Berceto con tre giri di grappe che aiutano l’inglese a sciogliersi e la confidenza ad aprirsi. Mi parlano del loro progetto di attraversare l’Italia a piedi lungo la Francigena per poi proseguire verso sud, forse direzione Puglia, in autostop. Ma non è una zingarata, Olivier è molto serio mentre ne parla e ha le idee chiare: vuole trovare un posto in Italia dove rimanere, “una piccola casa, un orto, un lavoro nella cucina di un ristorante e fare tanti figli”.

La tentazione ora, ed è tutta politica, sarebbe per me di trattare questa piccola storia come tassello di un mosaico più grande, da guardare dall’alto e comprendere, quasi la marcia dei pellegrini sotto il sole fosse un fiume sotterraneo che viaggia indifferente alle sorti di quell’ Europa che litiga sui giornali e si preoccupa solo dell’emergenza del giorno. Forse è davvero così, ma sento che a cercare un significato collettivo ad un gesto così intimo come quello di camminare la terra (la terra finalmente complemento oggetto) farei davvero un torto a tutti.

A me, al direttore Giovannelli, a quelli a cui rubo le citazioni, ai miei romantici amici francesi, al professore americano Bryan raggiunto a Pontremoli che è rimasto molto divertito dalla leggenda del cacciatore di coccodrilli, a Johnatan, il tedesco che procedeva da Roma verso Amburgo verso Nord e a tutti gli altri che ho incontrato compreso quel gruppo di svizzeri che ho lasciato sul passo della Cisa a fare una siesta poco pellegrina con birrette e cipster alle nove del mattino e di cui non abbiamo avuto più notizie nei tre giorni successivi.

A proposito del passo della Cisa che è stato il grande spauracchio della prima metà del percorso: “c’è da fare la Cisa” mi han detto in tanti con aria preoccupata, ecco, a me piacerebbe adesso raccontare che la Cisa è stata durissima, terribile, sfiancante…e invece no, devo ammettere che fare il Passo della Cisa è stato facilissimo. Ho preso l’autobus.

(Scherzo, ma mi serviva un finale!…grazie a tutti se avete letto fin qui. Avevo proprio voglia di raccontarvela questa mia piccola storia.)

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Pubblicato il 29 Luglio 2015
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Commenti

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  1. Landroide
    Scritto da Landroide

    Saluti dalla citazionista depredata.

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