“Io, intersessuale”

Storia di S., dall'identità di genere confusa a causa di una mutazione ereditaria di un gene. Ora, dopo una vita di silenzi, si rivolge a chi è come lei

Avarie

S. ha poco meno di 40 anni, è nata e vissuta nel nord della provincia di Varese, ha una mutazione di un gene che fa si che il suo corpo, pure essendo geneticamente maschile, sia insensibile agli ormoni maschili e si sviluppi come femminile.  Una situazione ereditaria, che non ha chiesto e non ha scelto, ma l’ha “costretta” in una situazione che la rende impossibile da definire secondo “la normalità”.

Peggio: proprio il tentativo di ripristinare una “normalità” in una bambina-bambino le ha creato menomazioni, fisiche ma soprattutto psicologiche, che hanno reso la sua vita davvero complicata. Come lei, ci sono molte persone: questa mutazione genetica si presenta in un bambino ogni 13mila, quindi non è per niente rara.

«Difficilmente però ne saprete qualcosa – spiega -. Del mio caso, per esempio, al mio paese nessuno sa, se non i più stretti parenti, giusto i genitori e poco altro, che hanno condiviso con me un percorso per “sistemare le cose”. Spesso, purtroppo, peggiorandole».

In casi come questi infatti “aggiustare le cose” ha significato spesso costringere bimbi piccoli o piccolissimi ad operazioni che menomavano le parti intime, e decidevano per i bimbi a quale genere sarebbero appartenuti: «Vi assicuro che non è affatto simpatico. E’ un dramma vero: che spesso non solo non gestiscono i diretti interessati, ma nemmeno i loro genitori, che si ritrovano sopraffatti da una situazione che non riconoscono, che è imbarazzante e di cui non hanno  alcuna idea:  si ritrovano così a farsi consigliare dai medici. Il mio genere è stato alla fine deciso da medici che hanno consigliato i miei, e gli specialisti non avevano nessun problema a “provare” una soluzione piuttosto che un’altra. Dopo di me, per esempio, la tendenza è stata quella di mantenere maschietto il bimbo finchè non si fosse compreso il suo vero orientamento. Ma erano gli anni ottanta, e a me è andata diversamente».

S. quindi è diventata una bambina a tutti gli effetti, con l’”aiuto” dei medici del Gaslini di Genova, a cui i genitori si erano rivolti per questo caso poco usuale in provincia.  «Vivere non è stato facile, anche in famiglia: tutti si vergognavano della mia situazione e nessuno ne poteva parlare. Ho voluto davvero male ai miei genitori per quello che mi avevano fatto, per parecchio tempo – spiega -. Poi ho cercato di mettermi nei loro panni, e ho capito che loro, gente semplice, non avevano molto altro da fare che ascoltare i medici e fidarsi di loro. Era un problema molto più grande di quel che potessero vivere».

Il “problema” dei genitori, però, era insito nella stessa figlia: una situazione difficile da gestire, per quanto amore ci fosse tra genitori e figlia.  «Una situazione che mi ha procurato disturbi enormi, che per di più i miei genitori cercavano di minimizzare: dicevano che esageravo, che non ci dovevo pensare. Più di una volta ho cercato di farla finita. Poi ho cominciato a drogarmi, finchè una comunità specializzata mi ha accolta, curando prima il mio problema di dipendenza, ma poi facendomi comprendere che se avevo una dipendenza era perchè avevo un problema ben più grande da risolvere: quello della mia identità».

Per questo le consigliano di rivolgersi a uno psicoterapeuta specializzato in questi casi, a Milano: che a sua volta le consiglia di entrare in una associazione LGBTI (L’ultima lettera della sigla è importante, anche e soprattutto per lei: significa Intersessuale, proprio come il suo caso, ed è stato aggiunto recentemente), con cui avrebbe potuto finalmente parlare liberamente di sè: si chiama  http://www.milkmilano.com/. «Mi sono resa conto che l’attivismo mi ha aiutato molto a darmi una definizione rispetto a me stessa – spiega -. Perchè io stessa non credevo all’inizio che il disagio che provavo fosse legato alla mia condizione: mentre invece ne è stato il punto di partenza. Ora ho una gran voglia di dire a tutti quelli che sono nella mia condizione,  e ce ne sono parecchi secondo le statistiche, che la cosa peggiore che possono fare è tenere tutto dentro. Non sono soli».

Per questo S. ha accettato di parlare della sua storia: «Perchè, se qualcuno legge e si riconosce, può contattare qualcuno con cui finalmente parlare liberamente, e affrontare la vita in un altro modo».

E ci segnala, inoltre, una serie di punti di informazione, come l’esistenza di un gruppo facebook per chi si riconosce in un caso come il suo: si chiama Intersex Italia, ovviamente è chiuso ed è sottoposto ad approvazione. Non è infatti per “perditempo” ma per creare un riferimento di autoaiuto tra persone con le stesse problematiche.

Chi volesse invece contattare l’associazione via email, può scrivere a presidente@milkmilano.com.

Per chi volesse rivolgersi a realtà varesine, può contattare anche Arcigay varese, che si occupa anche di tematiche legate all’Intersessualità:

email: varese@arcigay.it

Altri siti per approfondire sono:

http://www.milkmilano.com/

www.intersexesiste.com

www.aisia.org

www.intersexioni.it

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

Il web è meraviglioso finchè menti appassionate lo aggiornano di contenuti interessanti, piacevoli, utili. Io, con i miei colleghi di VareseNews, ci provo ogni giorno. Ci sosterrai? 

Pubblicato il 31 Agosto 2016
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Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da pietro_gibillini

    certo che vi piace proprio cercare tutti i peli nell’uovo per poter parlare di qualcosa che si pensi faccia notizia e oggi la notizia riguarda sopratutto tutto ciò che gira i ntorno ed all’identità sessuale sopratutto verso i gay e consimili o come si ab baciano in centro Varese per provocare e fare i modernisti, xchè non portate all’attenzione i problemi dei senza lavoro di coloro che sono senza pensione e senza reddito facendo qualche inchiesta ben fatta facendo vedere la realtà dei più che non fanno notizia

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