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A che cosa deve servire la cultura?

arcisate - biblioteca comunale
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16 Marzo 2017

Egregio direttore,

nella sua interessante e puntuale disàmina della politica culturale condotta
dall’amministrazione comunale varesina Bruno Belli esprime la sua perplessità per
«l’assoluta somiglianza delle cose che fanno le cosiddette “sinistre” e “destre”, una
volta al potere, indipendentemente dal colore politico». È pur vero che trattasi di
somiglianza, non di identità, e che occorre, ad esempio, riconoscere, auspicando che diventi definitiva, il valore della sperimentazione dell’apertura della biblioteca alla domenica, decisa dall’attuale amministrazione. Tuttavia, la somiglianza sussiste e, si può aggiungere, è ad un tempo la conseguenza dell’esistenza di un partito unico bifronte (laddove i ruoli della ‘destra’ e della ‘sinistra’ sono complementari e reciprocamente convertibili) e di un ‘pensiero unico’ che ispira l’anzidetta politica culturale (laddove il contenuto e la finalità di tale ‘pensiero’ si esprimono senza veli nella formula del ‘marketing territoriale’). Sennonché, per i suoi adepti nel campo della politica culturale, un requisito essenziale del ‘pensiero unico’ è proprio quello di evitare di chiarire ciò che si intende con il termine ‘cultura’, in modo da sfruttare al massimo, a fini di consenso e di manipolazione, la polisemìa che circonfonde tale termine, facendone oscillare i molteplici significati fra i due poli di un ‘oggetto senza concetto’ e di un ‘concetto senza oggetto’.
Il mio sommesso avviso è che proprio questa intenzionale rinuncia alla definizione del significato della cultura renda inevitabili sia la riduzione ‘gastronomica’ della stessa sia la conseguente problematica circa gli effetti eupeptici (o dispeptici) del suo consumo, poiché appare sempre più chiaro che è esattamente quest’ultimo a determinare, in ultima istanza, l’insieme del processo di produzione, circolazione e diffusione degli eventi e delle iniziative correntemente definiti come ‘culturali’.

Accade così che la polifonia (ma anche la cacofonia) che scaturisce da manifestazioni e iniziative molteplici, localmente circoscritte e non di rado concorrenziali, esprima, insieme con una scarsa disponibilità ad un autentico confronto delle posizioni, un’elevata propensione verso le mode culturali e, spesso, un uso strumentale delle idee. In altri termini, la tendenza prevalente è quella a sommergere giudizi di valore e conflitti di posizioni in una melassa indistinta e dolciastra, che viene spacciata come espressione di pluralismo quando, in verità, non è altro che puro e semplice indifferentismo. Questa tendenza, più che aiutarci a capire meglio chi siamo (giacché in tal senso giudizi di valore e conflitti di posizioni vanno considerati come i fattori determinanti di ogni presa di coscienza e la cultura, se non è ornamento o retorica, a  questo deve servire: a prendere posizione), ha accentuato una sorta di ‘alienazione culturalistica’ per cui tendiamo, da un lato, a dissimulare a noi stessi che la cultura di fatto interessa poco e, dall’altro, riteniamo doveroso affermare che i prodotti culturali sono di per sé un valore, anche quando non hanno valore.

In realtà, temo, il cibo culturale che, ai più diversi livelli, viene cucinato e ammannito è sempre più scadente, anche se infiocchettato e guarnito nei modi più diversi, quali sono suggeriti o imposti da quella macchina che è la ‘spettacolarizzazione della cultura’. Forse è proprio nella ‘spettacolarizzazione della cultura’, forma principale di manifestazione del ‘pensiero unico’ in questo campo, che il nostro paese sta affermando un suo indubbio primato. Ciò spiega perché esso ospiti un’attività culturale, ad un tempo, pletorica e irrilevante. Per altro, è tipico di tutte le vicende italiane che nessuna delle due cose risulti del tutto vera o interamente falsa: l’onnipresenza della cultura e l’assenza della cultura sembrano coesistere. In realtà, proprio perché la cultura non è un terreno neutro, una sorta di idilliaca Svizzera della lotta di classe, ma un fronte della lotta generale per trasformare la società, essa, come afferma Marx in un suo scritto giovanile, è «il luogo della ricerca dell’unità perduta: in questa ricerca dell’unità la cultura come sfera separata è costretta a negare se stessa».

Eros Barone

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