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“Andare piano”: un falso rimedio

Incidente in autostrada a Besnate
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14 Ottobre 2017

Egregio direttore,

un modo di spogliare la realtà sociale della sua oggettività è quello di ridurla sul letto di Procuste dello psicologismo; ma lo psicologismo, che dipende completamente dalla contingenza, è falso. Chi riduce un problema sociale, quello delle cause degli incidenti stradali, nonché dei modi di porvi rimedio, ad un’indagine sulle motivazioni e sui comportamenti dei soggetti (vigili e automobilisti, applicazione delle sanzioni o tolleranza), dimostra con ciò di aver perso la capacità di distinguere tra illusioni e realtà, finendo con il “dare l’aspirina ad un malato di cancro”. È il caso di Emilio Vanoni, il quale con il suo invito ad “andare piano”, così pieno, in apparenza, di sano buonsenso e di elvetico rispetto del codice stradale, non solo mostra di ignorare le vere cause degli incidenti stradali, ma probabilmente non immagina neppure che, se un automobilista o un motociclista seguisse alla lettera quel consiglio, creerebbe più problemi di quanti non ne risolva (in epistemologia il fenomeno in questione si chiama ‘eterogenesi dei fini’). Naturalmente, questo non significa invitare gli utenti della strada ad aumentare la loro velocità di marcia: significa semplicemente che un simile rimedio è non solo inutile ma anche controproducente (avete mai provato a rispettare alla lettera i segnali di limitazione della velocità e ad osservare le conseguenze che ciò provoca nel comportamento degli altri utenti?).

Cerchiamo pertanto di rimettere sui piedi quanto è stato posto a testa in giù, e partiamo dai dati reali. Per quanto riguarda gli incidenti stradali, il resoconto della Polizia di Stato parla chiaro: nei primi sei mesi del 2017 sono morte 617 persone a causa di incidenti stradali. Un dato che dalla stessa Polizia è stato definito preoccupante e che, se posto in relazione ai dati ottenuti nel 2016, è ancora più sconfortante. Nel 2015 infatti, secondo l’ultima pubblicazione ISTAT, si sono registrati in Italia 174.539 incidenti stradali, che hanno causato 3.428 morti e 246.920 feriti. Per la prima volta dal 2001 si è registrato un aumento delle vittime rispetto al precedente anno (47 morti in più). La media giornaliera è di più di 9 morti al giorno. Al giorno. Ogni giorno. Il costo sociale degli incidenti stradali è pari al 2,7% del PIL. Per quanto riguarda invece le vittime di incidenti ferroviari (fonte ISTAT), dal 2008 al 2014 si sono registrati ogni anno in Italia in media circa 120 incidenti gravi, con una somma media complessiva annua di 70 morti e 47 feriti gravi (dato in diminuzione). La media giornaliera è pertanto di circa 0,19.

Alla luce di questi numeri, occorre sottolineare l’importanza di incentivare nel nostro paese il trasporto su rotaia rispetto al trasporto su gomma non solo per quanto riguarda la mobilità delle persone, ma anche quella delle merci: i vantaggi in termini di sostenibilità ambientale, risparmio economico e spinta propulsiva per le aziende del settore sono evidenti agli occhi di tutti. Del resto, bastano questi dati a ridicolizzare coloro che, come la quasi totalità dei ‘mass media’ e il sullodato Vanoni, affrontano un processo, che è sociale ed oggettivo, come se si trattasse della risultante di scelte individuali più o meno corrette e di comportamenti più o meno trasgressivi, laddove, esattamente al contrario, tale processo è frutto di uno sviluppo economico distorto imposto al nostro paese dalle classi dominanti e basato su una delle forme più selvagge di motorizzazione privata che esistano nel mondo capitalistico.

La verità, che gli inviti alla prudenza e all’osservanza delle norme del codice stradale scritti sui tabelloni elettronici (o espressi da moralisti a buon mercato) non possono in alcun modo mascherare, è che, potendosi calcolare anticipatamente, per ogni settimana e per ogni giorno, il numero dei morti e dei feriti, gli incidenti automobilistici e motociclistici sono più che incidenti (in altri termini, cessano di essere qualcosa di incidentale o di accidentale): essi fanno parte della necessità omicida che mantiene alti i profitti. La preferenza per le automobili private anziché per i trasporti pubblici, per le autostrade anziché per le ferrovie, per le motociclette anziché per le biciclette, non dipende semplicemente dalla scelta dei consumatori, ma è dettata e imposta da una realtà sociale che ha la sua forza motrice nella spinta verso il plusvalore, anche se la conseguenza è una ‘guerra civile’ che, nell’arco degli anni, comporta centinaia di migliaia di morti e milioni di feriti (ossia lutti, danni e costi per l’intera collettività nazionale). Sennonché, come è evidente, dal momento che un modo razionale e umano di trasporto costituirebbe una minaccia per l’accumulazione capitalistica, si preferisce conservare un modo irrazionale e disumano. Inoltre, come se non bastasse, a ribadire l’impotenza del singolo individuo contro questa situazione sociale interviene il gioco perverso dell’ideologia più menzognera, che consiste nel far credere che il colpevole sia il guidatore e che certi miglioramenti dei dispositivi di sicurezza o certi inasprimenti delle sanzioni possano sanare una situazione del traffico sempre più barbara e abnorme (a che altro servono i gipponi se non a garantire una maggiore capacità di attacco e di difesa in una circolazione stradale che, segnatamente nel territorio varesino, si configura come un rodeo quotidiano?).

In realtà, mentre ci viene detto quanti moriranno in questo fine settimana, ci raccomandano di guidare con molta prudenza, come se questo potesse avere effetto su quello. Non l’ha e non lo può avere. Gli ‘incidenti’ non sono incidenti; essi sono radicati nella struttura sociale: sono una forma di necessità in situazioni di non libertà. La sicurezza può essere raggiunta solo attraverso un’azione collettiva, cambiando radicalmente una società sempre più pericolosa, buonista e soccorrevole a parole ma crudele e violenta nei fatti.

Eros Barone

Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Ogni volta leggo con interesse gli interventi sia del Sig. Barone che del sig. Vanoni. A mio modesto parere le cause dell’aumento degli incidenti sono da ricercarsi nelle sempre più maggiori distrazioni, in primis lo smartphone.
    Ovviamente la velocità può influenzare tale statistica ma distrarre lo sguardo a 50km/h solo per leggere il messaggio appena arrivato equivale a guidare bendati per 40-50 m.
    E’ accettabile che la tecnologia nata per aiutarci diventi la prima causa di morte (oltre che una certa dose di scelleratezza degli italiani al volante) ?
    In ogni caso il riferimento elvetico del sig. Vanoni è opportuno. In Svizzera a furia di bastonate nel portafoglio e di controlli assidui succedono meno incidenti mortali.
    E’ un caso? Io direi di no.

  2. Avatar
    Scritto da bobbi

    bè, se per questo, anche il suo intervento, con un taglio finale più filosofico che pragmatico, a mio personale giudizio, nulla aggiunge e nulla toglie all’intervento che Lei sta criticando.
    Secondo me, siete sullo stesso piano.
    per non essere citato di ignavia, io mi fermo ad un pensiero minimalista e cioè che sicuramente la prudenza è dovuta e può dare risultato, mentre il suo punto di vista, non lo comprendo ( si riferisce all’ineluttabile destino?) e, quindi, non mi porta ad una soluzione
    bobbi

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