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Balle cinesi…

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29 Dicembre 2004

La grande opportunità del momento è la Cina:
prosperità ricchezza e progresso ci attendono grazie
all’apertura di questo grande mercato: balle.
La nostra società è fondamentalmente divisa tra chi
produce con grande sacrificio e chi vende parole con
l’unico intento di acquisire potere.
Paradossalmente, la più grande e popolosa nazione
della terra è retta da un regime comunista che
permette uno sfruttamento senza paragoni della classe
operaia; gli stipendi non raggiungono i 100 Euro
mensili, l’assistenza sanitaria è nulla, la previdenza
sociale è inesistente e la prevenzione infortuni
scandalosa: una giovane operaia lavora oltre 12 ore al
giorno per 7 giorni alla settimana, senza ferie,
privata di ogni tipo di assistenza e nel caso dovesse
malauguratamente subire un grave infortunio, verrebbe
sostituita immediatamente senza alcun riconoscimento
economico o indennizzo a tal punto che l’unica
soluzione sarebbe rappresentata dal suicidio.
Faccio parte di quelle che i nostri ben pensanti
chiamano impropriamente le PMI “piccole medie
industrie” e sono ormai consapevole che non potrò
tramandare alcuna esperienza ai miei figli perché
tutto ciò che mio padre ed io siamo riusciti a
costruire ci è stato sottratto da chi ha la spudorata
capacità di copiare, copiare, copiare e solo copiare,
compresi i difetti.
Al momento non esistono incentivi affinché nessuno di
noi abbia il benché minimo vantaggio a rischiare del
proprio per inventare qualsiasi cosa e magari
produrla: verrebbe subito copiato con il benemerito
benestare di chi ha chiesto il suo consenso per
governare, promettendo l’esatto contrario di ciò che
effettivamente legifera.
L’Italia è un paese dove da anni si sono aperti uffici
nel palazzo del potere allo scopo di favorire i
rapporti commerciali con la Cina, peccato che sono
esclusivamente indirizzati all’acquisto di beni da
parte di quegli industriali che hanno ben capito come
arricchirsi senza rischiare e senza assumere forza
lavoro: la nuova spregiudicata filosofia è quella di
licenziare operai, chiudere fabbriche, evitare
investimenti e comperare prodotti finiti in Cina per
rivenderli con grandi margini di guadagno in Italia e
tutto questo con il beneplacito consenso dei nostri
politici litigiosi che auspicano incredibilmente un
rafforzamento di questo processo atto solo al nostro
inevitabile impoverimento.
Se non si interverrà in tempo, la nostra società sarà
portata ad impoverirsi mancando l’elemento principale,
cioè la ricchezza frutto del lavoro, del rischio e
degli investimenti, non è pensabile sopravvivere
investendo solo in servizi interni.
Ci viene spiegato che per vincere la battaglia in atto
con la peggiore concorrenza sleale è necessario
innovare ed elevare il contenuto tecnologico dei
nostri prodotti: ancora e sempre balle. La ricerca e
l’innovazione è appannaggio della media e grande
industria, che sostenuta dallo stato può garantirsi
fondi gratuiti rischiando solo capitali finanziati
dallo stato, cioè di tutti.
I nostri industriali da qualche anno hanno capito che
per arricchirsi è sufficiente trasformare le proprie
aziende in società commerciali che comprano in Cina e
vendono in Itale, ma fino a quando, se l’occupazione
diminuisce, se i prezzi delle materie prime aumentano
in misura abnorme e se il mercato interno dei consumi
è sempre più contratto e le famiglie stanno diminuendo
la propensione al risparmio.
Credo che la situazione sia realmente drammatica, ma
mi rifiuto di pensare che il popolo dei piccoli
imprenditori degli artigiani che nel tempo hanno
saputo sopravvivere ai malgoverni, alle prepotenza
assistita dallo stato della grande industria, non
sappia trovare lo stimolo per convincere una parte,
anche trasversale, della classe politica italiana, al
fine di ottenere un doveroso contributo alla
sopravvivenza di questa grande forza che ha permesso a
questo paese di crescere e diventare una tra le più
grandi potenze economiche del mondo.
Se riusciremo a creare un movimento di opinione in
grado di farsi ascoltare da chi ci governa, forse il
futuro non è ancora compromesso e anche il popolo
cinese potrà ottenere quel giusto riconoscimento
sociale, a patto che usi le stesse regole che a noi
sono giustamente imposte per il bene comune globale
non disgiunto dai problemi di eco-equilibrio troppo
spesso dimenticati.
Concludendo, la concorrenza può esistere solo se è
praticata a pari condizioni: tutela dell’ambiente,
salvaguardia dei diritti fondamentali dei lavoratori,
protezione delle idee e dei brevetti frutto spesso di
molto lavoro, in caso contrario si è in presenza solo
di un’azione prepotente, iniqua, ingiusta che conduce
inevitabilmente ad un impoverimento globalizzato.
Se siete d’accordo con queste mie considerazioni,
diffondetele con qualunque mezzo, in modo da creare un
movimento di opinione che possa indurre qualsiasi
forza politica trasversale a prendere posizione a
favore di chi come noi è abituato a rischiare,
lavorare e pagare, pagare, pagare sempre.
Cordialmente,

Ing. MASSIMO CREMONA
Titolare di una piccola azienda di stampaggio e
costruzione stampi di Gornate Olona VA

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