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Bertinotti, un caso di camaleontismo politico-culturale

fausto bertinotti varese
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19 Aprile 2016

Che Fausto Bertinotti arrivi a sentenziare, come ha fatto in un’intervista al “Corriere della Sera”, la fine del movimento operaio ed esprima la sua ammirazione per Comunione e Liberazione non può stupire chiunque conosca il camaleontismo politico-culturale di questo personaggio emblematico dell’asinistra. Si tratta, in realtà, di un politicante, tanto mediocre quanto narcisista, le cui convinzioni si possono così riassumere: l’identità si può variare a piacere, con la stessa ‘nonchalance’ con cui una modella cambia di abito; Lenin, Gramsci e Rosa Luxemburg vanno relegati in soffitta, fra le anticaglie, con qualche espressione cerimoniosa per ricordare il loro grande passato; Stalin va invece liquidato con le armi della denigrazione e della demonizzazione; il comunismo, che andava trasformato in una semplice “corrente culturale” all’interno di un miscuglio interclassista di tutt’altra natura, va anch’esso liquidato e sostituito con i sermoni e le ‘performance’ populiste di papa Francesco. Si tratta, tornando a bomba, di un mercenario lautamente premiato con prebende e sinecure per i servigi resi alla classe che detiene il potere, il quale, come tutti ricordano, ha distrutto l’organizzazione del Prc inseguendo il mito illusorio del ‘partito leggero’, lasciando deperire o morire i circoli, pensando che il duro lavoro di contatto con i lavoratori potesse essere sostituito da estemporanee presenze nei salotti televisivi. Tutto ciò, mentre sul fronte opposto, pur in un’ottica reazionaria, la Lega imparava dalla ‘vieille gauche’ le tecniche dell’organizzazione e stabiliva contatti reali con i lavoratori. Ma proprio questa, più che non le rovinose sconfitte elettorali, è stata la più grave responsabilità di Fausto Bertinotti: aver consegnato una parte dei figli della classe operaia a un partito xenofobo e reazionario.

Bisogna dire, per converso, che in una cosa sola Bertinotti è stato veramente ‘pesante’: nella discriminazione verso chi cercava di farlo recedere dal baratro in cui, come un pifferaio magico, stava portando migliaia di militanti e milioni di elettori. Infatti, quello che è poi avvenuto, ossia il dissolvimento del Prc, era stato previsto e descritto da molti, anche se quasi nessuno aveva immaginato una catastrofe di quelle proporzioni. Ma un partito di classe è l’esatto opposto dell’evanescente partito voluto da una certa asinistra, come quella rappresentata, ad esempio, da Sel. È un partito che partecipa alle lotte dei lavoratori, ne conosce i problemi, cerca di istruirli e di metterli in guardia dai pericoli. Le campagne elettorali non sono fini a se stesse, non hanno lo scopo di aprire la via a carriere personali, ma sono un momento di propaganda e di sintesi delle lotte precedenti. Un partito di classe, anche nelle situazioni negative, non rinuncia a preparare la ripresa delle lotte. Inoltre, un partito di classe rappresenta interessi materiali e morali strettamente legati al mondo del lavoro e cerca di mantenere ìntegra la forza del proletariato, rifiutando di annegare le sue aspirazioni in una maionese interclassista. Custodisce gelosamente la teoria marxista, sa che non è possibile nessuna conquista permanente senza la guida di una teoria, combatte ogni forma di revisionismo, in cui riconosce il veicolo dell’influenza ideologica di altre classi sociali. Sa che non si può avanzare servendosi di manovre e trucchi e che il tatticismo e l’opportunismo alla fine si ritorcono contro chi vi fa ricorso.

Così, il gruppo dirigente di Rifondazione ha fatto, sotto l’infausta regia di Fausto Bertinotti, l’esatto contrario: ha promesso la lotta alla guerra e ha votato i finanziamenti alle imprese belliche e l’aumento delle spese militari; chi si è rifiutato di farlo è stato cacciato. Ha votato le elargizioni agli industriali: il cuneo fiscale, la rottamazione, le esenzioni fiscali; le leggi di Berlusconi sono rimaste invece sempre vigenti; l’invadenza clericale è cresciuta a dismisura e viene ora teorizzata come strategia anticapitalistica. Sennonché molti militanti, giornalisti seri, semplici osservatori avevano avvisato Bertinotti e i personaggi micromegasici dell’asinistra che lo circondavano, ma loro, gonfi di ignoranza e di presunzione, erano convinti di non aver bisogno di ascoltare i consigli degli altri. Per questo, giunsero a misurarsi senza alcuna difesa col ‘partito killer’, il Pd, e furono annientati.

È accaduto allora che la defezione degli esponenti di una sinistra senza anima, senza progetto e senza futuro dal campo della lotta di classe e della organizzazione del proletariato ha prodotto i risultati che le varie elezioni hanno spietatamente sancito, e ora un vero e proprio ‘autodafé’, che solo l’improntitudine guittesca dell’interessato può spacciare come un esercizio di onestà intellettuale. Concludo, perciò, osservando che, se è vero, come ebbe ad affermare Francesco Guicciardini quasi cinque secoli fa, che «li popoli abbandonano coloro che li hanno abbandonati», è ancor più vero che i transfughi hanno sempre cercato di dissimulare il loro tradimento facendolo passare come l’esito necessario di una scoperta e come la premessa di una nuova consapevolezza.

Eros Barone

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