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Britannia 2, altro colpo ai cittadini

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15 Settembre 2011

Egregio direttore,
Tutti sappiamo che il governo di centrodestra che, per tre anni, si è ostinato a raccontare la favola che tutto andava bene, ora, improvvisamente, si trova nella necessità di fare cassa.
A molti, però, è sfuggito che il Ministro del Tesoro Giulio Tremonti, nei giorni scorsi, ha annunciato un “seminario” sulle dismissioni del patrimonio pubblico aperto a tutti gli investitori possibili, nazionali e internazionali.
Un vero e proprio “Britannia 2” lo ha definito Il Sole 24 ore, riferendosi a quando, nel 1992, l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, incontrò sul panfilo della famiglia reale inglese, il Britannia appunto, una serie di investitori inglesi per presentare la privatizzazione di Iri, Eni, Isa e Imi.
Oggi come allora, l’Italia è scossa da una grave caduta morale, che coinvolge il rapporto tra affari e politica, e da una drammatica crisi economica, che mette in tensione la finanza pubblica.
Ma, per quanto mi riguarda, prima di sventolare di nuovo la bandiera delle privatizzazioni a prescindere, come diceva Totò, conviene ricordare i fatti i quali dimostrano che l’idea che privatizzare equivale a moralizzare è destituita di fondamento.
Le indagini giudiziarie in corso fanno emergere, infatti, numerosi episodi di malaffare tanto nelle aziende pubbliche, con procedure di nomina del management a dire poco inquietanti, quanto nel settore privato. Basti pensare ai processi a Cirio, Parmalat, Telecom, Italease, Antonveneta, Bnl….
E come dimenticare il fresco paradosso della finanza che viene salvata dagli Stati e poi li mette in croce per avere emesso le obbligazioni pubbliche necessarie a turare le sue falle?
Quello che voglio dire è che, innanzi tutto, bisogna essere consapevoli che privatizzare non è una scelta etica ma politica: da fare sapendo bene di che cosa si sta parlando.
Un conto, ad esempio, sono le partecipazioni dello Stato nelle grandi imprese; un altro è il cosiddetto “capitalismo municipale”, quello dei servizi locali, dall’acqua ai trasporti; dalla gestione del ciclo dei rifiuti all’elettricità.
Forse non tutti sanno che, nella sintetica definizione “capitalismo municipale”, sono comprese circa semila imprese pubbliche locali, con centinaia di migliaia di dipendenti, possedute da Province, Comuni e via dicendo.
E’ vero che, secondo una ricerca a più mani (“Comuni spa. Il capitalismo municipale in Italia”, edizioni Il Mulino) sulle imprese di questo tipo, le quali, non di rado gestiscono monopoli naturali, esse sarebbero in perdita per circa il 70% al Sud, per circa il 50% al Centro, per circa il 30% al Nord.
Ma disboscare questa giungla genererebbe davvero risparmi, efficienza e migliori costumi o non rischierebbe, piuttosto, di provocare, come è già successo in passato con altre privatizzazioni, l’aumento, sic et simpliciter, delle tariffe?
Certo è che, quanto agli incassi di una loro eventuale vendita, il Ministero del Tesoro spara cifre astronomiche solo negli studi, non nella manovra ufficiale. I rapporti di Mediobanca sono assai più prudenti.
A una sommaria analisi, le uniche partecipazioni davvero negoziabili sembrano essere quelle nelle ex municipalizzate energetiche quotate, nelle concessionarie di pubblici servizi redditizi come autostrade e aeroporti, nelle reti minori del gas, dell’elettricità e delle telecomunicazioni.
Per questo, prima di vendere per ricavare, oggi, al massimo, 5-6 miliardi di euro (da portare in detrazione del debito e non a copertura delle spese correnti come ha fatto per 12 anni il Comune di Milano) ci penserei due volte.
Non sarebbe meglio procedere a fusioni e riforme manageriali che potrebbero essere facilitate dalla Cassa depositi e prestiti o da investitori di lungo periodo come il fondo infrastrutturale F2I, avendo cura di non aprire la strada ad acquisizioni con eccessive leve finanziarie per non deprimere gli investimenti, comunque essenziali alle comunità locali?
In questo delicato settore, le scorciatoie dettate dalla necessità rischiano, ancora una volta, di provocare più danni che vantaggi.
Si può anche decidere di smantellare tutto il “capitalismo municipale”prima di pagare qualcosa di tasca nostra. Ma non sarebbe per niente saggio visto che i conti dicono che sarebbe una goccia nel mare del debito pubblico.
Personalmente credo che più che svendere tutte le imprese pubbliche locali, occorrerebbe un serio esame di coscienza da parte dei governanti e dei cittadini di un Paese che è vissuto troppo a lungo al di sopra delle proprie possibilità, usando perfino la grande occasione dei bassi tassi d’interesse e dell’euro per alimentare i consumi, per giunta in modo sempre più diseguale tra i diversi ceti sociali, anziché approfittarne per cercare di rimettersi in sesto.
Fabrizio Mirabelli - Capogruppo PD Varese

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