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Burkini, islamofascismo e imperialismo

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22 Agosto 2016

La polemica sulla liceità del ‘burkini’ sta ridando fiato alle trombe del ‘conflitto di civiltà’. Ora, non vi è alcun dubbio che l’imposizione del velo sia una pratica biecamente oscurantista e liberticida, una manifestazione dell’oppressione delle donne legittimata dalla religione islamica, ossia da una religione che, non diversamente dal cristianesimo e da qualsiasi altra religione, è funzionale all’imperialismo. Può allora essere utile riflettere sulla categoria di islamofascismo, osservando che senz’altro fascismo e fondamentalismo islamico hanno in comune un’ideologia mistico-irrazionalistica, il rifiuto dell’illuminismo, l’opposizione al comunismo ecc., cioè tutta una serie di elementi che hanno parallelamente favorito nell’Occidente capitalistico l’alleanza fra Chiesa cattolica e fascismi. Sennonché, quando si fa uso del termine di islamofascismo occorre tenere presente che il fascismo è solo una delle forme politiche funzionali all’imperialismo, essendo caratterizzato, per un verso, dagli interessi del capitale monopolistico finanziario e, per un altro verso, dalla propaganda demagogica circa una fantomatica “terza via”, cioè dal corporativismo e dall’anticomunismo. Anche l’islàm sostiene infatti una “terza via” che, mantenendo gli assetti economici e proprietari capitalistici, li sussume in una dimensione corporativistica del tutto organica all’imperialismo, di cui il fascismo è una manifestazione specifica. Se si pensa poi al polo imperialistico emergente, costituito dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e dagli Emirati Arabi della Penisola araba e del Golfo Persico, polo che sta dietro al fondamentalismo islamico e allo stesso terrorismo jihadista, non è difficile comprendere che il fondamentalismo islamico può essere strumento nelle mani di una parte del grande capitale arabo e quindi un fattore della lotta fra capitali.

Inoltre, occorre considerare che la lotta al fondamentalismo-terrorismo consente di giustificare le guerre imperialistiche all’esterno e le legislazioni limitative delle libertà civili all’interno, in modo da permettere agli esportatori della civiltà, dei diritti umani e della democrazia di instaurare una dittatura mascherata all’interno. In questo senso, ‘scontro di civiltà’ e ‘islamofascismo’ sono due facce della stessa medaglia, vale a dire di un’unica strategia che consiste nel mobilitare in senso reazionario le popolazioni dei centri dell’imperialismo superando divisioni di classe e politiche. Accade così che all’interno dei paesi capitalistici dominanti il razzismo nei confronti dei lavoratori immigrati venga recuperato per impedire ogni collegamento fra proletariato autoctono e straniero. Che poi questo tipo di razzismo si basi sulla differenza etnica o su quella religiosa è del tutto indifferente per gli scopi della mobilitazione interclassista, come dimostra il fatto che lo stesso procedimento viene seguito dai sostenitori dell’islamismo politico nella lotta contro i “crociati” occidentali. Inoltre, se per attaccare l’islàm viene denunciata la condizione di sottomissione delle donne nei paesi islamici, si rischia davvero di cadere nel ridicolo: non perché questa sottomissione non sia presente (per altro con grandi differenze tra i diversi paesi arabo-islamici), ma perché all’interno della ‘civiltà ebraica e cristiana occidentale’ l’eguaglianza femminile è stata pagata al prezzo di strenue lotte e, per sovrammercato, i tentativi di ridurre o cancellare questi diritti sono sempre presenti. È difficile dimenticare che la motivazione ideologica fornita dagli imperialisti occidentali per giustificare l’invasione dell’Afghanistan riguardava (non  l’obiettivo strategicamente fondamentale del controllo degli oleodotti ma) la liberazione delle donne. Potrebbe allora essere utile ricordare come uno dei gruppi generosamente finanziati dagli Usa nella lotta antisovietica in Afghanistan sia stato lo Hizb-i-Islami (Partito dell’Islàm) guidato da Gulbuddin Hekmatyar, noto sfiguratore, tramite acido, di donne “scostumate” che frequentavano l’università e non portavano il velo (nell’Afghanistan comunista, al contrario, le donne godevano di eguali diritti!).

In conclusione, la contrapposizione ideologica fra due fondamentalismi ha dietro di sé lo scontro interimperialistico per il controllo delle principali vie e fonti di approvvigionamento di materie prime ed energia e quindi il conflitto fra le plutocrazie occidentali e quelle islamiche. Quindi, se da un lato appare sempre più chiaro che il fondamentalismo è espressione e strumento dell’imperialismo, dall’altro è evidente che ad incarnare in buona misura, anche se non esclusivamente, le aspirazioni di indipendenza nazionale dei paesi vittime dell’aggressione imperialistica non vi è più il movimento comunista né il nazionalismo arabo di matrice laico-socialista, ma un movimento islamico interclassista, fascisteggiante ed ultrareazionario. Di fronte a questa situazione l’atteggiamento dei comunisti non può essere ovviamente quello dello ‘scontro di civiltà’, ma neppure quello antitetico-speculare di chi ritiene di dover sostenere come soggetti di una lotta antimperialista i mozzateste dell’Isis o le bande di al-Quaida o i tagliagole salafiti.

In fondo, anche i talebani lottano contro l’imperialismo, dopo esserne stati utili pedine. Tuttavia, contrariamente ai sermoni  che dispensa il buonismo catto-comunista  non basta far parte del cosiddetto “Sud del mondo” per essere i “buoni”, dimenticando che all’interno di questo Sud esistono le divisioni in classi e facendo finta di non vedere come lo ‘scontro di civiltà’ sia uno scontro fra classi dominanti e capitali in contrasto fra di loro. Di fronte a questi movimenti che si definiscono anticapitalistici (si definiva così anche il fascismo) e antimperialistici bisogna invece ricordare che il fondamentalismo è, a seconda delle fasi politico-militari e delle convenienze tattiche, o lo strumento di un polo imperialistico emergente facente capo alle classi dominanti arabe o lo strumento dell’imperialismo occidentale facente capo agli Usa o entrambe le cose. La storia, peraltro, insegna che la rivoluzione russa détte un fondamentale slancio alle lotte di indipendenza dei paesi sottomessi al dominio imperialistico e riguardo alle nazioni e agli Stati più arretrati, dove predominavano i rapporti feudali o patriarcali, Lenin è chiarissimo nel sottolineare «la necessità di lottare contro il clero e gli altri elementi reazionari e medievali, che hanno influenza nei paesi arretrati; la necessità di combattere il panislamismo e le analoghe tendenze che cercano di collegare il movimento di liberazione contro l’imperialismo europeo e americano con il rafforzamento della posizione dei ‘khan’, dei grandi proprietari fondiari, dei ‘mullah’ ecc.» [cfr. V. I. Lenin, Tesi per il II congresso dell’Internazionale comunista, 14.7.1920, Opere complete, Editori Riuniti, 1967, vol. xxxi, p. 164]. Questo discorso non ha perso un briciolo del suo valore: semplicemente oggi ai soggetti socio-economici indicati da Lenin vanno aggiunti gli interessi della finanza islamica o dei petrolieri arabi, nonché il quadro dello scontro interimperialistico e delle alleanze che ne possono derivare.

In buona sostanza, se di fronte alla nuova offensiva imperialistica si sviluppano lotte in difesa dell’indipendenza nazionale, è nondimeno necessario, da un punto di vista comunista, capire quali siano gli obiettivi di classe dei combattenti, fermo restando il diritto di una legittima resistenza all’invasione. Infatti, la lotta può essere contrassegnata da interessi estranei a quelli del proletariato ed egemonizzata da soggetti che, a volte, esprimono visioni del mondo premoderne. Il fatto che questi movimenti, allevati e finanziati dall’imperialismo in funzione anticomunista, si siano poi in alcuni casi messi a mordere la mano che li aveva generosamente nutriti non toglie che la scelta degli imperialisti fosse corretta, avendo questi ultimi ravvisato in tali forze una radicale ostilità al marxismo.

Eros Barone

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