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Il degrado della scuola italiana e il “modello don Abbondio”

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21 Aprile 2018

Negli ultimi decenni una serie di interventi legislativi e amministrativi hanno alterato in profondità i caratteri essenziali della scuola. Queste riforme, frutto delle politiche neoliberiste nel campo dell’istruzione, hanno avuto come conseguenza la dequalificazione del lavoro del docente e la degradazione culturale e sociale dell’intera categoria  dei docenti della scuola italiana.

Orbene, i docenti hanno nella sostanza accettato tutto questo, spesso collaborando alla propria degradazione, più spesso lamentandosi, ma senza mai ribellarsi seriamente (lo definirei il modello “don Abbondio”). Perché queste riforme hanno avuto come conseguenza il degrado culturale e sociale dei docenti? Perché uno dei loro contenuti fondamentali è la svalutazione dell’insegnamento dei contenuti disciplinari, di quelle cioè che nel linguaggio comune sono le “materie” tradizionalmente insegnate a scuola. Questo aspetto non è di immediata percezione perché non viene mai enunciato esplicitamente nei testi legislativi e amministrativi che hanno dettato le riforme. La svalutazione dell’insegnamento delle “materie” nella scuola italiana contemporanea costituisce però la ‘ratio’ implicita di una serie di misure che possono essere comprese solo alla luce di tale scelta di fondo. Fra gli esempi, che potrebbero essere numerosi, ne cito uno particolarmente significativo: l’incentivazione di una miriade di attività parallele all’insegnamento disciplinare (fra cui i cosiddetti “progetti), attività che implicano la continua interruzione dell’orario curricolare, cioè dell’orario dedicato all’insegnamento disciplinare stesso.

A ciò si possono aggiungere gli spostamenti di docenti dall’insegnamento di materie per cui hanno una preparazione specifica all’insegnamento di altre materie, cosiddette “affini”: spostamenti motivati esclusivamente da esigenze di organizzazione scolastica. Analogo a questo fenomeno è quello delle abilitazioni con concorsi speciali che prescindono parzialmente o totalmente dalla preparazione specifica.

Questi esempi sono già sufficienti per capire come la ‘ratio’ che li unifica e li rende comprensibili sia quella della svalutazione dell’insegnamento delle “materie” tradizionali: un insegnamento a cui viene dedicato sempre meno tempo e rispetto al quale non si ritiene importante che venga svolto da docenti preparati.

Si tratta allora di capire che cosa significhi tutto questo rispetto alla scuola e rispetto alla vita di chi nella scuola lavora. Significa, in sostanza, che la scuola non è più, a parte alcune sue zone residuali, una scuola. È diventata un’istituzione completamente diversa, che della scuola conserva solo l’immagine esteriore.

A questa mia affermazione qualcuno potrebbe obiettare che la scuola non ha solo la funzione di “insegnare delle materie”, ma ha altre funzioni, anche più importanti, di tipo socio-educativo: come, per esempio, socializzare i giovani, educarli alla cittadinanza, sviluppare in essi il rispetto per le culture e i popoli del mondo, e la lista potrebbe ovviamente continuare. Se questo è vero, la presenza di tali funzioni e scopi socio-educativi conserva un significato e un ruolo profondo alla scuola, anche se diminuisce l’attenzione alle tradizionali “materie”. Questa obiezione, in apparenza ragionevole, è in realtà un vacuo sofisma, che denota una profonda incomprensione di che cosa sia la scuola. Per capire quanto sto dicendo, basta riflettere sull’esempio seguente. Tutti siamo d’accordo sull’importanza dell’attività sportiva per i giovani. Una giusta dose di attività sportiva è necessaria allo sviluppo equilibrato del corpo, ed ha anche importanti aspetti educativi: abitua alla corretta elaborazione di emozioni come l’aggressività e la competitività, al rispetto delle regole del gioco e dell’avversario, alla collaborazione con i propri compagni nel caso degli sport di squadra. Immaginiamo però che, quando portiamo nostro figlio nella tal palestra per iscriverlo ad una qualche attività sportiva, ci venga fatto dai responsabili il seguente discorso: poiché lo sport svolge un’importante funzione nello sviluppo psico-fisico dei giovani, ma d’altra parte fare sport è faticoso, abbiamo pensato di realizzare l’importante funzione educativa dello sport tenendo i ragazzi fermi e seduti.  Che cosa penseremmo di una simile proposta? Penseremmo che chi ragiona in questo modo o sta scherzando o è un folle o non sa di che cosa stia parlando. E sicuramente porteremmo nostro figlio in un’altra palestra.

Ma sostenere che la finalità socio-educativa della scuola possa essere perseguita trascurando l’insegnamento disciplinare è un’assurdità dello stesso tipo. Infatti l’essenza della scuola, così come si è formata nella nostra storia, consiste in questo: la scuola è quella particolare “agenzia educativa” nella quale la finalità educativa viene perseguita attraverso l’insegnamento delle discipline e l’applicazione, seria e serena ma rigorosa ed equa (nonché, all’occorrenza, coattiva), della disciplina (la quale è poi la ‘conditio sine qua non’ dell’apprendimento delle discipline). Ovvero, la scuola esiste perché (e finché) si ritiene che alcune particolari “materie” abbiano una pregnanza culturale e formativa tale che, attraverso il loro insegnamento, sia possibile perseguire quella finalità sociale ed educativa cui ho più volte accennato. In altri termini, la scuola esiste, perché si ritiene, o si è ritenuto nell’epoca moderna, che insegnare italiano, matematica, fisica, filosofia ecc., rappresenti il modo specifico con cui la scuola educa i giovani, distinguendosi da altre “agenzie educative” come la famiglia, il gruppo di amici, l’oratorio ecc.

Sennonché, considerando che tutto questo è vero, che cosa resta della scuola, una volta che essa sia privata del suo elemento specifico e caratterizzante, cioè l’educazione dei giovani attraverso l’insegnamento di materie specifiche? La risposta è ovvia: non resta nulla. La scuola viene di fatto abolita e il tempo della scuola diventa un contenitore vuoto che bisogna riempire con le più diverse attività. E che cosa diventano i docenti in una scuola che non è più una scuola? Qual è il loro ruolo, una volta abolita di fatto la loro funzione specifica, che consiste nell’insegnamento delle “materie”? In questa scuola, se è lecito chiamarla ancora così, i docenti sono ridotti ad essere degli ai o dei ‘baby-sitter’.

La migrazione dei docenti dal ceto medio ai livelli più bassi della stratificazione sociale è l’ovvia conseguenza di questa loro dequalificazione professionale. Naturalmente, si potrebbe obiettare che la professionalità dei docenti (e quindi il loro livello sociale ed economico) viene salvata insistendo sulle loro competenze pedagogico-didattiche piuttosto che su quelle disciplinari. I docenti sarebbero quindi quelle persone che sanno come si insegna, e tali persone sarebbero importanti anche in una scuola nella quale si dà meno importanza a che cosa si insegni. Questa obiezione è analoga a quella che ho testé confutato. In sostanza, dire che non ha importanza che cosa si insegni, perché l’importante è che venga insegnato bene, equivale a dire che i contenuti dell’insegnamento non hanno più nessuna importanza. Ma questo ha come conseguenza la scelta dei contenuti più facili, più banali e meno impegnativi. Se tutto è uguale a tutto, perché docenti e studenti dovrebbero sobbarcarsi alla fatica di leggere Dante o Manzoni, quando è tanto più gradevole leggersi Piero Chiara o Fabio Volo? Ma, una volta impostato il problema in questo modo, ci si pone su un piano inclinato nel quale non ci si può fermare. Perché leggere Chiara o Volo, quando ascoltare le canzoni di De André è ancora più gratificante e più facile? Si vede facilmente che, scivolando su questo piano inclinato, si torna alla degradazione professionale dei docenti.

Concludendo, ritengo che nelle riforme di questi ultimi decenni sia implicita una
sostanziale degradazione della figura del docente. Tale degradazione determina, a mio avviso, il degrado economico e sociale dell’intero ceto dei docenti, il loro ridursi a poveracci, degni solo, a seconda delle propensioni, di compassione o disprezzo. Tale degradazione ha, come ulteriore conseguenza, l’abbassamento del livello culturale e della maturità intellettuale e morale dei giovani che escono dalla scuola italiana. Non era difficile prevedere, già una trentina di anni fa, che il degrado della scuola sarebbe presto arrivato a mettere in pericolo la stessa sicurezza fisica dei docenti. È chiaro infatti che una scuola intesa come grande parcheggio per ragazzi non ha più alcun filtro che la protegga dalla degradazione sociale. Gli episodi di violenza nelle scuole, di cui leggiamo sui quotidiani, sono anch’essi correlati a quella sistematica negazione della funzione specifica della scuola che è l’anima delle riforme attuate in questi ultimi decenni e sono destinati ad aumentare di numero e di gravità.

Eros Barone

Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Un brutto voto una volta volta significava un avvertimento sonoro per i ragazzi e per i loro genitori, un campanello di allarme per sollevare un problema educativo.
    Ora gli insegnanti vengono minacciati ed in molti casi li si incontra per massacrarli di botte.
    In Italia c’è troppa feccia arrogante, aggressiva e cafone lasciata agire indisturbata.
    Il buonismo ha fallito. Sarebbe meglio rendersene conto quanto prima pena la guerra civile e lo scollamento tra i diritti e doveri di una società civile e la giustizia privata.

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