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Derivati, una bomba a orologeria per le casse dei comuni

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8 Agosto 2009

Secondo Berlusconi, “uomo del fare” e inguaribile ottimista, la crisi si sarebbe or-mai “sfogata”, come una febbre seguita ad un fastidioso raffreddore, mentre la borsa di Wall Street, dopo i crolli del 6,3% e del 5,5% del Pil rispettivamente nel quarto tri-mestre 2008 e nel primo trimestre 2009, accoglie con giubilo il terzo calo consecutivo, nel secondo trimestre 2009, che è “solo” dell’1,5%, tanto da indurre ad evocare una prossima fuoriuscita dalla crisi. In realtà, se si parte dall’analisi oggettiva della perdurante crisi economico-finanziaria che sta percorrendo, con modalità ed effetti differenziati, l’intero pianeta, è difficile negare che nei prossimi mesi le ripercussioni antisociali della crisi manifesteranno un aggravamento tale da dissolvere molte illusioni (della serie “io speriamo che me la cavo”) ancora presenti tra i lavoratori e i ceti subalterni. Una simile previsione sarà confermata, con una probabilità prossima alla certezza, nel prossimo autunno. Del resto, nella storia del movimento operaio non sarebbe la prima volta che i fatti, i quali, come è noto, hanno la testa dura, si riveleranno più efficaci dei volantini di denuncia della sinistra radicale nell’opera di agitazione, denuncia e mobilitazione rivoluzionaria delle masse.
Sennonché, mentre la crisi finanziaria mondiale prosegue implacabile il suo corso sempre più rovinoso, non solo esponenti del governo, ma anche azionisti e banchieri del Bel Paese si affannano a ripeterci come un ‘mantra’ le seguenti frasi: “il sistema finanziario italiano è sostanzialmente indenne dalla crisi dei mutui ‘subprime’ ameri-cani”, “il quadro in Italia è solido”, “il nostro paese è un’isola felice”. Inoltre, siccome la crisi economico-finanziaria internazionale non è ancora arrivata a incidere sulla vita quotidiana della maggioranza degli italiani, questi ultimi guardano la minoranza, che già ne soffre acutamente, con l’indifferenza di un egoismo e di un cinismo, che da tempo sono diventati la filosofia di massa e la cifra etico-sociale dello spirito pubblico. Alla maggioranza degli italiani la crisi sembra dunque, per il momento, una crisi per scherzo. Sono queste le rassicurazioni che ci vengono propinate da quando negli Stati Uniti è esplosa la bolla immobiliare. In effetti, in Italia questo tipo di mutui non esiste, ma ciò, in un’economia totalmente interconnessa a livello globale, non è affatto una garanzia.
Ne stanno dando un’ulteriore conferma le specifiche sessioni della Commissione Finanze ed Enti locali del Senato, oltre a isolate trasmissioni televisive a tarda ora, come quella di “Report” risalente ad alcuni mesi fa (per la precisione, al 14 ottobre 2008). Il titolo della puntata di tale trasmissione era di per sé eloquente: “Il banco vince sempre”. I giornalisti di Raitre ebbero a confermare che, se i mutui ‘subprime’ non esistono nel nostro paese, il mercato dei derivati è invece quanto mai fiorente. I derivati sono degli strumenti finanziari, dei prodotti per così dire “salsiccia”, costruiti anche con i mutui ‘subprime’ e in base alle scommesse sull’andamento dei mercati, strumenti e prodotti che hanno garantito in larga misura il ‘boom’ delle borse negli ultimi cinque anni. Ora il vento è cambiato e solo i clienti Unicredit stanno perdendo con i derivati un miliardo di euro. Tutta la prima parte di quella trasmissione era dedicata a privati, soprattutto imprenditori, gettati sul lastrico dalle banche che rifinanziavano i debiti contratti dalle aziende con contratti “swap”, cioè con derivati. E fin qui poco male, si dirà: gli imprenditori giocavano in Borsa ed è andata male. Il problema arriva per i lavoratori quando si scopre che anche centinaia di Enti locali sono entrati in questo mercato. Ad esempio, il Comune di Torino si è fatto prestare i soldi per organizzare le Olimpiadi e ha coperto il debito acquistando derivati che oggi perdono, cosicché il Comune “è sotto di cento milioni di euro”. I casi di questo genere non si contano. Un piccolo comune come Marradi in provincia di Firenze ha 3400 abitanti ed un debito di 2 milioni di euro con Unicredit. Si pensi che queste forme di indebitamento dovevano essere la ciambella di salvataggio di Comuni, Province e Regioni, pieni di debiti per i tagli ai trasferimenti del governo centrale.
Nel caso di Taranto, Comune fallito nel 2006, il meccanismo è stato proprio questo: debiti che venivano finanziati con derivati. Alla fine i dipendenti del Comune si sono ritrovati senza stipendio e la Bnl, con cui la città pugliese si era indebitata, si è trattenuta 21 milioni di euro. Non esiste via di scampo nemmeno per i Comuni virtuosi, visto che le banche usano derivati, i cosiddetti ‘sinking fund’, anche per gestire i fondi di ammortamento degli Enti locali. E includono in essi anche titoli a rischio.
Certo, la Corte dei Conti e la summenzionata Commissione del Senato lanciano l’allarme spiegando che “le esposizioni finanziarie possono diventare insostenibili”, ma il monito serve a poco se nessuno ha intenzione di colpire frontalmente chi architetta queste operazioni finanziarie. L’Unicredit è stata recentemente multata dalla Consob per aver venduto derivati a rischio per la cifra ridicola di mezzo milione di euro. Ventimila euro di multa anche per Profumo, amministratore delegato del gruppo, che percepisce 13 milioni all’anno di stipendio!
Non è forse un caso che una delle principali fautrici delle privatizzazioni nel governo Prodi, il ministro Lanzillotta, sia stata dal 2001 al 2006 consulente della banca J. P. Morgan, col compito (sue testuali parole) di “far capire il sistema pubblico a una grande banca internazionale” e di “segnalare agli amministratori quali erano le implicazioni di questi strumenti [cioè i derivati]”. La J. P. Morgan è, guarda caso, uno dei principali istituti che fanno sottoscrivere derivati agli Enti locali.
La conseguenza immediata di queste operazioni finanziarie è purtroppo ben visibile nelle nostre tasche: negli ultimi dieci anni le imposte locali sono cresciute del 111% e i sindaci ‘eletti direttamente dal popolo’ hanno usato irresponsabilmente il denaro pubblico investendolo in operazioni finanziarie le cui conseguenze saranno pagate a caro prezzo dalle future generazioni!
“Il banco vince sempre”, finché esisterà il capitalismo. E perderemo sempre noi, se non togliamo dalle mani dei grandi capitalisti il controllo del sistema bancario e finanziario, nazionalizzandolo e ponendolo sotto il controllo dei lavoratori. Si discute ancora se sia alle porte una seconda ondata della crisi finanziaria. Certo è che i fattori di criticità che hanno portato alla crisi non sono stati risolti, anzi in molti casi si sono aggravati, mentre si continua imperterriti a proseguire nella stessa direzione: mancan-za di regolamentazione nella circolazione dei capitali e interventi statali massicci ma del tutto subalterni alle banche e alle grandi imprese.

Enea Bontempi

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