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Il diritto alla buona scuola non dovrebbe essere a pagamento

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31 Luglio 2018

Egregio Direttore, In Italia, la scuola pubblica è morta.
Non si può certo dire che ci abbia lasciato senza preavvisi.

Si preparava al proprio funerale quando, alla primaria, fagocitava ore e ore di arte, musica e ginnastica e le sostituiva con il potenziamento dell’italiano e della matematica… d’altronde perché investire sulla creatività, sulla personalità e sulle abilità diversamente riconosciute, quando i test INVALSI puntavano su omologazioni di tutt’altra specie?

Questi INVALSI, questi killer, abili cecchini da lontano, da subito considerati non metro di valutazione del livello medio di scolarizzazione, quanto piuttosto verifica delle capacità degli insegnanti e buon nome degli istituti… Niente di più deleterio. Alcuni di questi insegnanti ha fatto il resto nella scuola secondaria, somministrando iper verifiche, superate dai pochi scolari anticipatari della logica e dell’intuito e non alla portata della stragrande maggioranza dei “normodotati”, che si chiudevano in un’autostima pari a zero, prigionieri di un sistema che avrebbe dovuto garantire loro la “formazione” di quelle qualità e non la sola mera verifica. La scuola pubblica è morta. Si è avvelenata con le sue leggi. Le certificazioni richieste dalla scuola agli specialisti, per la determinazione dei deficit di apprendimento, avrebbero potuto essere un buon terreno di confronto tra docenti e “tecnici del settore”. L’opportunità, ben presto, si è trasformata in presa di posizione, un braccio di ferro tra genitori già provati dall’esito di un’indagine psico-pedagogica che avrebbe, inevitabilmente, segnato il percorso scolastico del proprio figlio e la saccenteria di alcuni docenti a reputare non condivisibile un oggettivo referto medico.

La scuola pubblica è morta.
Si è suicidata quando non ha neppure preso le difese dei suoi insegnanti. Di quelli inesperti, in primis: perché se i nostri figli non raggiungono gli obbiettivi minimi, gli viene affiancato l’”insegnante di sostegno”, ma se è l’insegnante che non ha le competenze dovute, il povero inesperto, ma vincitore di concorsi pubblici fantapolitici, viene supportato da un “tutor”, nobilitata traslazione anglosassone, nella becera convinzione che nessuno si accorga delle condizioni identiche in cui entrambi sono chiamati a lavorare. Oppure di quelli dalla stravagante “bipolarità”: del tipo che ti interrogano il martedì in latino e prendi 5 ed il giorno dopo ti ri-interrogano nella stessa materia e prendi 7. Si intenda, senza aprire il libro ulteriormente! Per questi insegnanti, la scuola pubblica non tenta neppure di prendere le difese, ma fa “spallucce” e consola i genitori, attoniti, con spiazzanti: “Cosa vuole farci? Non posso mica farli fuori!!!”.

La scuola pubblica è morta.
Si è impiccata con le innovazioni che ha introdotto, spacciandocele per progressiste evoluzioni tecnologiche, come la lettura dei voti on line tranne, poi, scivolare, con dubbio gusto, sulla buccia di banana dei colloqui tra dirigenti e genitori. Qui, vis-à-vis, si chiede, alla mamma, nome e cognome del ragazzino e si spia, sul computer, il numero degli accessi del volto che si ha di fronte. La fatidica domanda: “Buongiorno signora, mi dica qual è il problema?” è irritantemente sostituita da una preliminare radiografia del soggetto, che la inserisce nella categoria “mamme isterico-ansiose da 1200 accessi l’anno” (che non è proprio il caso di perdere tempo ad ascoltare) oppure nella categoria “mamme innocue da sporadici accessi” che, di diritto, si guadagnano i tre minuti di libertà di parola, resi disponibili da Dirigenti oberati di lavoro che, mentre lasciano naufragare le seppur coerenti argomentazioni della mamma innocua di turno, già si portano avanti ed escogitano airbag efficaci ad impattare il successivo match genitoriale.

La scuola pubblica è morta.
Ed il colpo di grazia è arrivato alle scuole superiori. La buona scuola fa firmare a noi genitori un patto di corresponsabilità: ci chiama in causa nel confronto per creare un dialogo finalizzato ad una scuola migliore. Fantascienza. Cinque mail sono partite dalla mia posta elettronica e sono giunte sulla scrivania del Dirigente di un liceo scientifico di un istituto comprensivo di provincia, di cui non è importante fare il nome: un elogio funebre è un elogio funebre, non porta rancore ma cerca di avviare quel motore chiamato autocritica di cui, la scuola pubblica, ha perso le chiavi da tempo immemore. Le cinque mail non hanno mai avuto riscontro (ma ho sempre verificato che fossero giunte a destinazione): non una telefonata, non una mail di risposta, non un invito al confronto a quattr’occhi, neppure la telefonata dell’ultimo dei collaboratori scolastici che mi avvisasse che avevo rotto le scatole o che le problematiche portate alla luce con scritti firmati, correlati di fatti oggettivi e non di “visioni personali, non importassero a nessuno.

La scuola pubblica è morta nella totalitaria indifferenza dimostrata.
La scuola pubblica è morta nella strafottente maleducazione con cui si è dimostrata indifferente addirittura di fronte alla richiesta di nulla osta a cambiare scuola. La scuola pubblica non è morta perché noi genitori ci siamo presentati a scuola malmenando insegnanti o urlando parolacce e offendendo dirigenti. La scuola pubblica è morta perché noi genitori abbiamo illuso i nostri figli ripetendogli che, se le cose non fossero funzionate, con i giusti toni e le giuste motivazioni, si sarebbero potute cambiare: e invece avevamo torto.

Ed ora sono qui a scrivere l’elogio funebre della scuola pubblica.
E lo posso fare perché la fortuna mi permette di aprire altre porte, in altri contesti non pubblici. Ma il diritto alla buona scuola non dovrebbe essere a pagamento. I giovani hanno bisogno di adulti che diano loro voce: le nuove generazioni non supereranno mai quelle precedenti se viene inculcata loro la propensione alla rassegnazione. I giovani dovrebbero dimorare per poco nella società adulta e costruirne una successiva, nella consapevolezza di avere doti sufficienti per tentare il cambiamento, per provarci, per discuterne, per tornare sui propri passi, per ripensarci, per poi tornare all’attacco, per fallire e poi tentare di nuovo.

E intanto crescere.
E diventare, a loro volta, adulti aperti e pronti al confronto. La scuola pubblica è morta non perché abbia fallito questo obbiettivo, ma per aver remato esattamente nel verso contrario… con l’idiota speranza di convincerci della bontà dei suoi intenti.

Gabriella Volpi
Dignitosamente, una delle scomode “mamme isterico-ansiose da 1200 accessi l’anno”

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