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Fermiamo la pandemia delle teleinfezioni

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21 Marzo 2017

Rompere con la violenza simbolica esercitata dalla TV

Mi sorprendono coloro che riferiscono di certe trasmissioni televisive, scandalizzandosi della scurrile bassezza, del banale chiacchiericcio e del pacchiano altercare che le contraddistingue, come se, in un paese abitato da uno dei “popoli più volgari e condizionati del mondo” (lapidario epifonema pronunciato da Moretti nel film “Caro diario”), la televisione potesse mostrare e riflettere qualcosa di diverso.

Appartengono, purtroppo, ad un’età ‘preistorica’ esperienze conoscitive, emotive e morali di straordinaria intensità, come la visione del “Mulino del Po”, dei “Giacobini”, dei “Miserabili”, di “Pinocchio”, dei “Promessi Sposi”, o quella delle “Tribune elettorali” con Pintor, Ferrara (padre), Togliatti, Nenni, Moro, Almirante, o anche la “Canzonissima” di Fo e della Rame, che contribuirono, mercé una gestione etica e pedagogica e, a volte, anche positivamente anticonformistica del mezzo televisivo, a formare la sensibilità e l’intelligenza della mia generazione.

Certo, lo so bene: allora la tivù era lo specchio di un’altra società, che, ad esempio, Nanni Loy descriveva con una finezza, un’ironia e un garbo senza pari nella trasmissione “Specchio segreto”. Allora la tivù rendeva migliori le persone che la guardavano, perché la società stessa, negli anni del ‘boom’ economico, del conflitto redistributivo, della massificazione controllata dall’alto e guidata dal basso (ad opera dei partiti, dei sindacati, delle associazioni e della stampa), esprimeva pulsioni e tensioni progressive.

Raccolgo qualche notizia sui palinsesti televisivi, navigando in Internet; quando mi capita (il che accade raramente) di seguire una trasmissione televisiva, provo la sensazione che immagino possa provare un cieco, il quale, recuperata fortunosamente la vista, si trovi ad osservare uno spettacolo così orripilante da indurlo a desiderare il ritorno più rapido possibile alla cecità.

Non mi ha per nulla meravigliato ciò che, stando al sito del “Corriere della Sera”, è successo durante una recente trasmissione televisiva della prima rete pubblica, diffusa per di più in un orario di massimo ascolto, e dedicata alla discussione del tema seguente: “perché gli uomini italiani preferiscono le straniere”. Oltre al commento di una classifica becera ed umiliante dei motivi dell’anzidetta preferenza riguardante le donne immigrate dai paesi slavi, in tale trasmissione uno degli ospiti (un vecchio attore malvissuto) è perfino arrivato ad elogiare una donna dell’Est, compagna di un suo amico, perché in occasione del compleanno di quest’ultimo gli avrebbe regalato, rivelando così un’ammirevole (!) spregiudicatezza, un ‘ménage à trois’ in un bordello di lusso…

Oggi la tivù rende migliori i peggiori e peggiori i migliori: essa è da fuggire (e da rifuggire) come la lebbra mentale e morale, che una società malata secerne e diffonde su scala sempre più vasta. Infatti, anche le trasmissioni ‘migliori’ servono colpevolmente ad avallare e a legittimare la massa infetta e contagiosa delle trasmissioni peggiori. Per quanto mi riguarda, non ho il minimo dubbio sul fatto che per un uomo di cultura trascorrere una serata guardando la tivù è sinònimo di bancarotta intellettuale e morale. Apprezzo quell’uomo politico tedesco (il socialdemocratico Schmidt), che parecchi anni or sono invitò i suoi concittadini ad astenersi almeno un giorno (se non erro, il venerdì) dal guardare la tivù, anche se sono convinto che, allo stadio attuale cui è pervenuta la ‘società dello spettacolo’, quella proposta, per quanto giusta, risulti oggi timida e insufficiente.

Solo una scelta di radicale luddismo antitelevisivo può oggi preservare il nostro popolo e i nostri giovani da guasti morali irreparabili, da degenerazioni antropologiche irreversibili, da un istupidimento psichico truce, isterico e compulsivo, i quali, sommandosi gli uni agli altri, contribuiscono a fare del popolo italiano un “popolo triste e depresso”, come ha osservato una volta il “New York Times” con quell’ottica estraniante ed essenzializzante che rende lo sguardo degli stranieri così lucido e inconfutabile. Un gesto di radicale luddismo, che sia però permanente e non occasionale come quello che, di fronte all’ennesima escandescenza di un ben noto squadrista del tubo catodico, ha determinato giustamente l’abbandono dello studio televisivo da parte del conduttore e degli altri ospiti, i quali hanno in tal modo isolato l’anzidetto squadrista.

“Il primo principio della morale è imparare a ragionare”, afferma giustamente Pascal: la più grande invenzione della nostra epoca è alla portata di tutti e di ciascuno, la pandemìa della teleinfezione si può ancora fermare, basta premere il bottone e spegnere il televisore. Solo così il popolo dei teledipendenti, dopo aver distolto lo sguardo dal volto di Medusa della televisione e averlo rivolto finalmente verso il mondo della realtà, imparerà a dissociarsi da quella forma sottile, pervasiva e contagiosa di violenza che consiste nel rendersi complici e collaboratori della sua quotidiana manifestazione spettacolare.

Eros Barone

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