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Imperialismo e immigrazione

Ribaltamento barcone nel canale di Sicilia
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11 Dicembre 2016

Il problema dell’immigrazione nei paesi capitalisti è uno di quei nodi inestricabili del sistema borghese che possono essere sciolti solo con il totale ribaltamento di prospettiva realizzato dalla società socialista. Come ha notato l’economista indiano Prabhat Patnaik, fino a pochi decenni fa il capitalismo aveva generato flussi migratori tra zone omogenee. Il primo tipo di flusso aveva luogo all’interno dell’Europa oppure procedeva dall’Europa verso l’America o l’Australia ed era costituito da grandi masse di manodopera qualificata, che non ingrossavano, ma contribuivano a tenere sotto controllo l’esercito industriale di riserva. Il secondo tipo di flusso procedeva dalla Cina o dall’India verso altri paesi coloniali o semi-coloniali, quali il Sudafrica. Quindi, osserva Patnaik, da alti salari ad alti salari o da bassi salari a bassi salari. Le politiche protezionistiche adottate dai paesi capitalisti avanzati, separando rigidamente queste due aree, impedivano ai prodotti del Sud di invadere il Nord (vedi l’esempio del cotone indiano), mentre il protezionismo era stato distrutto nel Sud a cannonate (vedi l’esempio della guerra dell’oppio). Il significato di questa compartimentazione del mercato del lavoro consisteva dunque nel fatto che, mentre i salari reali nel Nord crescevano con la produttività del lavoro, i salari reali nel Sud continuavano a ristagnare ad un livello di stretta sussistenza sotto la pressione delle sue enormi riserve di lavoro. Orbene, la globalizzazione attuale ha spazzato via questa compartimentazione dell’economia capitalistica mondiale. Così è accaduto che il capitale dal Nord si è spostato al Sud, delocalizzandovi gli impianti per le esportazioni verso il mercato mondiale complessivo, compresi i mercati del Nord che sono ora aperti a tali esportazioni dal Sud. Sennonché la conseguenza di questo processo è che i lavoratori del Nord sono ora esposti alle conseguenze funeste dei flussi costituiti dalle enormi riserve di lavoro del Sud.

D’altra parte, la globalizzazione imperialistica e le politiche neoliberiste che il capitalismo ha attuato negli ultimi decenni sono state determinate dalla irrisolvibile crisi economica di sovrapproduzione di capitale, che ha spinto il capitalismo (produzione e mercato) a proiettarsi in tutto il mondo. In tal modo, la globalizzazione ha fatto aumentare soprattutto i profitti, permettendo ai capitali di muoversi su scala globale. Ma a livello locale e non globale l’effetto è stato che la classe operaia dei paesi occidentali è ora esposta alla concorrenza di un esercito industriale di riserva che non è più limitato al proprio territorio, ma è esteso a tutto il mondo. Mutamenti di carattere epocale come quelli testé sinteticamente evocati non possono non generare nei paesi occidentali squilibri e tensioni, che prendono la forma della ‘guerra tra poveri’, contrapponendo proletari italiani colpiti dalla crisi e proletari stranieri. Cerchiamo pertanto di focalizzare le cause di questa ‘guerra’. Prendendo come punto di riferimento i dati del 2014, che sono i più aggiornati, vediamo che in tale anno vi sono state 509 mila nascite (il livello minimo dall’Unità d’Italia), mentre i morti sono stati 597 mila unità. Ciò significa che in Italia mancano circa 100 mila individui l’anno. Poiché il numero di figli per donna che dovrebbe mantenere la popolazione in pareggio nel lungo periodo è pari ovviamente a 2, possiamo dedurne che finora i vuoti nella popolazione in Italia si sentono poco sia a causa della diminuzione dei morti, fattore che però provoca il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, sia a causa dell’immigrazione. Il saldo migratorio netto con l’estero è invece pari a +142 mila unità, valore minimo degli ultimi cinque anni, in quanto bisogna considerare anche la forte emigrazione di giovani altamente istruiti che vanno all’estero (la famosa “fuga dei cervelli”).

A questo punto, si potrebbe pensare che uno sfoltimento della popolazione sia un fatto positivo, soprattutto per le classi subalterne, perché ciò dovrebbe portare ad una diminuzione dell’esercito industriale di riserva. Ma questo è completamente falso, perché con la diminuzione dei cittadini si verifica fatalmente anche quella dei consumatori e l’economia, almeno quella capitalistica, si restringe (con buona pace dei decrescisti): meno consumatori, meno prodotto, meno produttori necessari. Paradossalmente l’incremento di cittadini stranieri apporta più ricchezza al paese di quanta non ne sottragga. Il problema però, dal punto di vista della classe lavoratrice italiana, è che la debolezza del lavoro degli immigrati fatalmente indebolisce il lavoro dei proletari italiani, incrementando l’esercito industriale di riserva, aumentando i profitti e schiacciando tutti i lavoratori, immigrati e autoctoni. Quindi ondeggiamo tra Scilla e Cariddi: se diminuisce l’immigrazione diminuisce la base produttiva del paese, ma se aumenta la base produttiva ad ottenere maggiormente lavoro sono gl’immigrati.

In realtà, l’unica soluzione è la fuoriuscita dal capitalismo, che crea le condizioni per una soluzione razionale del problema della convivenza tra i popoli e tra le diverse componenti etniche della classe operaia: un sistema di produzione e di scambio socialista che garantisca a tutti eguali condizioni di esistenza e di cultura. Ma nella fase intermedia occorre individuare le giuste rivendicazioni della lotta popolare, che saranno tali solo se soddisferanno tre fondamentali requisiti: aumentare il benessere dei lavoratori, modificare a favore del proletariato i rapporti di forza tra proletariato e borghesia, elevare la coscienza di classe del proletariato svelando a tutto il popolo l’insanabile contraddizione tra il sistema capitalistico e gli interessi materiali e morali dei lavoratori. Queste sono dunque le giuste parole d’ordine: no alla ‘guerra tra i poveri’; non sono i proletari immigrati a rubare il lavoro ai proletari autoctoni, ma è il capitalista che lo ruba quando delocalizza la produzione: nazionalizzare le aziende che delocalizzano la produzione; non sono i proletari immigrati a fare concorrenza a quelli autoctoni e ad abbassare il loro salario, ma è il capitalista che scatena la concorrenza per abbassare i salari: salario minimo per tutti fissato per legge; non sono i proletari immigrati a fare la guerra, ma sono i capitalisti imperialisti che portano la guerra e la distruzione ai popoli del resto del mondo: fuori l’Italia dalla NATO e fine della partecipazione dell’Italia a tutte le guerre imperialiste; non sono i proletari immigrati a restringere le possibilità di sostegno al lavoro e ai servizi pubblici, ma i trattati europei che strangolano i popoli d’Europa: fuori l’Italia dall’Unione Europea e dall’euro.
Eros Barone

Commenti

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  1. Gianfredo Ruggiero
    Scritto da Gianfredo Ruggiero

    Una volta tanto concordo con le considerazioni di Eros Barone che riflettono la lucida analisi di Marx sulle dinamiche capitalistiche ed in particolare su quell’esercito di riserva rappresentato ieri dai proletari e oggi dagli immigrati indispensabile per abbassare i costi di produzione e aumentare i profitti del padronato. Un padronato che rispetto agli anni della rivoluzione industriale ha solo cambiato volto, metodo e strumenti.
    E’ sulle risposte per un nuovo modello economico e di comunità sociale che le mia visione diverge profondamente con quella del prof. Barone. Ma di questo ne riparleremo, se ci sarà l’occasione.
    Grazie per l’ospitalità e cordiali saluti.
    Gianfredo Ruggiero, Circolo Culturale Excalibur

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