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La Lega e Carlo Cattaneo

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17 Novembre 2008

Egregio direttore,

mi permetta di intervenire nella diatriba tra la signora Rastelli e il signor Protasoni. Quello che mi interessa chiarire è il rapporto tra Lega nord e gli intellettuali in generale e Carlo Cattaneo in particolare.
Interessante, in proposito, il giudizio espresso, a suo tempo, dal prof. Gianfranco Miglio che nutriva legittimi dubbi sulla cultura del leader della Lega Umberto Bossi: ” Non sono mai riuscito a capire quali letture abbia fatto il segretario: nella sua biografia sostiene di avere divorato 500 libri sul federalismo in pochi mesi e di avere letto Pareto, Weber, Adorno, Marcuse, Cattaneo, Gioberti, Hamilton. Ma nelle moltissime conversazioni che ho avuto con lui non ho mai trovato neanche la più modesta traccia di quei contatti intellettuali, fatta eccezione forse per qualche mal digerito ricordo di Marcuse. Mi ha inflitto sproloqui senza fine, in cui Hegel e Marx andavano e venivano come in un romanzo a fumetti”.

Anche il popolo leghista, di conseguenza, non è mai stato particolarmente attratto dalla cultura e dagli intellettuali.

Una ricerca dell’Aaster, fatta nelle leghistissime province di Bergamo e Lecco, individua, infatti, come figura più odiata il bibliotecario comunale: ” Agli occhi del montanaro lumbard è la somma di tutte le ignominie: uno statale, un intellettuale, un parassita improduttivo” .
Secondo Paolo Rumiz “L’intellettuale per il leghista è una minaccia mortale. Hanno paura che qualcuno gli smonti il mito e ne dimostri l’insussistenza. I miti, si sa, non si discutono, si difendono. Sono allergici all’analisi culturale”.

Il punto di riferimento principale della Lega è Carlo Cattaneo, padre del federalismo, che avrebbe voluto trasformare l’impero austriaco in una sorte di Commonwealth plurinazionale, con una Lombardia autonoma…
In merito scrisse impietoso Montanelli: ” Se il colto Cattaneo sentisse parlare Bossi, imbraccerebbe il fucile: ma per sparare contro di lui e i suoi squadristi”.

L’unico vero intellettuale della Lega è Mario Borghezio. Anche se può sembrare una contraddizione con certe sue affermazioni e azioni, di formazione evoliana e guenoniana, è invece studioso della tradizione, bibliofilo, gran conoscitore dell’astrattismo e del surrealismo. Presidente della Fondazione federalista, nel giugno 2007 portò alla luce un documento che è un tentativo di elaborazione di un pantheon di riferimento per la Weltanschauung leghista.

Comprendeva ottantadue nomi che intrecciano autori di temi identitari, federalisti e cattolico-tradizionalisti (da Miglio a Zavattini, dalla Fallaci anti-Islam a Simone Weil, da Junger a Pavese, da Hugo Pratt a Luigi Einaudi, da Carducci a Bobby Sands).
Un “cenacolo” liquidato da Calderoli con la frase: ” Mi pare una macedonia”, che ben interpreta l’anima leghista maggioritaria, che non prevede alcun retaggio culturale, ma bassa cucina politica.

E la possibilità di fare affari remunerativi con Roma ladrona, testimoniata dalla presenza ai vertici leghisti di una lobbie affaristica ben consolidata nei ruoli chiave.
Non a caso sono decine e decine gli esponenti di alto livello che hanno abbandonato disgustati via Bellerio una volta che si sono resi conto della realtà, con scissioni anche dolorose e il proliferare di piccole liste autonomiste locali.
L’ignoranza non sempre paga… e governare non vuol dire “occupare i posti di potere”. Concetto estraneo ai “duri e puri” del Carroccio.

Giorgio Taietti

Giorgio Taietti

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