La libertà del web
14 Agosto 2011
Caro direttore
Sono rimasto un po’ perplesso dalle recenti dichiarazioni del Primo Ministro inglese David Cameron riguardanti i social media, rilasciate in occasione degli scontri di questi giorni. Un’affermazione, in particolare: "Stiamo lavorando per capire se possa essere giusto impedire alle persone di comunicare tramite questi siti internet". E vorrei condividere anche con lei un mio post personale che ho scritto in merito.
Grazie, buon lavoro
È possibile che l’Inghilterra, un governo democratico repubblicano de facto (monarchia parlamentare), possa mettere in discussione la libertà del web nel 2011? Stando alle dichiarazioni del Primo Ministro David Cameron, pare di sì. L’11 agosto alla Camera dei Comuni effettua unostatement in merito ai disordini della nazione e si sofferma sul ruolo dei social media. "La libera circolazione d’informazioni può essere usata per scopi benefici. Ma può anche essere usata per cattive azioni. E quando le persone usano i social media per scatenare la violenza, dobbiamo fermarli. Perciò stiamo lavorando con la polizia, i servizi d’intelligence e le aziende per capire se possa essere giusto impedire alle persone di comunicare tramite questi siti internet e questi servizi quando sappiamo che stanno organizzando violenza, disordine e atti criminali".
La dichiarazione lascia un po’ perplessi, perché ha a che vedere con uno dei fondamentali diritti civili delle persone: quello della libertà di espressione.
Non è originale la volontà dei governi di bloccare l’utilizzo dei mezzi di comunicazione in caso di disordine. Anzi, quella di David Cameron sembra una brutta copia di quant’è successo nei primi mesi di quest’anno nel Maghreb, quando i regimi dittatoriali interruppero le comunicazioni telefoniche e tramite web. In effetti il blocco di tali servizi può creare un pericoloso precedente. Può essere davvero una prerogativa del governo quella di controllare e impedire la libera circolazione di idee? Un’altra domanda, poi, più tecnica.
È davvero possibile bloccare parzialmente un sito come Twitter? E ancora: com’è possibile bloccare le persone di cui si è sicuri che stanno utilizzando tali siti per creare violenze, disordini o atti criminali? Sulla base di quali prove empiriche? Chi sarà a controllare i post e i profili dei presunti criminali? E chi controllerà i controllori? Queste ultime domande se le pone Jim Killock, direttore esecutivo dell’Open Rights Group, dalle pagine del Guardian. "Come si può decidere se una persona sta pianificando di creare dei disordini?". E proprio su Twitter Graham Linehan, irlandese e uomo della tv, lancia una frecciata a David Cameron, scrivendo: “Se la Big Society esiste per cose come il mettere in ordine quello che i riottosi hanno distrutto, ricordatevi che non è grazie a Cameron, è grazie a Internet”. Il riferimento chiaro è al fenomeno che ha susseguito il passaggio delle rivolte: i cittadini si sono dati appuntamento tramite Twitter per organizzare la pulizia delle città.
Già, la Big Society. La community che interagisce grazie al web. Quella stessa comunità che, secondo Russel Brand, è stata sempre negata a queste giovani persone che ora rivoltano. "Liquidarli come stupidi è futile retorica. Dobbiamo chiederci perché stanno accadendo queste cose. Queste persone non hanno senso della comunità perché non ne hanno mai avuta una". E quindi trovano rifugio tra le gang e nella rete. Ma una cosa è certa, e Martin Kettle avverte, sempre dal Guardian: "Dobbiamo parlare ai rioters, non voltargli le spalle".
Chiudere le porte della comunicazione, tentare di riportare l’ordine impartendo il silenzio senza favorire il dialogo non appare una buona soluzione, e la storia, anche recente, ci porta insegnamento in merito. I dittatori che non hanno dialogato con i cittadini e hanno privato della possibilità di comunicare in maniera libera sono caduti. E soprattutto, la volontà di bloccare la Rete da parte di una potenza occidentale è una novità che mette davvero a rischio la libertà della Rete stessa. Quella Rete, bella perché libera.
L’Inghilterra non deve tornare indietro di tre secoli, al 1694, quando la pubblicazione dei testi veniva consentita solo tramite la bolla di una licenza rilasciata dal governo. E soprattutto, l’Europa non deve cadere nell’errore delle dittature africane. Non possiamo permetterci, nel 2011, di mettere ancora in discussione la libertà del web.
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