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“L’aria di Varese” non fa diventare razzisti

San Vittore dall'Arco Mera
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20 Gennaio 2018

Lettera aperta a Alessandro Robecchi

Egregio Signor Robecchi

(data la mia varesinità mi risulta un po’ ostico appellarla “gentile”),
vorrei fare alcune precisazioni relative al Suo articolo del 17 c.m. su “Il fatto quotidiano”.

Lei imputava, almeno in via dubitativa, il più o meno latente razzismo del Signor Fontana all’ “aria di Varese”; poiché anche la scrivente respira la stessa aria, vorrei precisare che l’aria di Varese non ha nulla di diverso, né in meglio né in peggio, dall’aria della Sua natia Milano.

Non ha peraltro nulla di diverso dall’aria di qualsiasi altro posto, sia esso Camerota (in provincia di Salerno, con cui il mio paesello, Cittiglio, è gemellato) o Favara ( comune in provincia di Agrigento che ha dato i natali a quel Giusto tra le Nazioni che ha respirato in anni difficili l’aria di Varese).

L’aria che respiriamo non ci determina tutti esattamente allo stesso modo, poiché non siamo palloncini. A Varese e provincia risiedono esseri umani che oltre a respirare fanno molte altre cose, tra cui leggere i giornali, ascoltare le rassegne stampa, andare a scuola, e perfino andare all’Università ( e non necessariamente quelle milanesi).

A proposito dell’Università mi corre l’obbligo di precisare che non solo quella varesina è culturalmente apprezzabile quanto qualsiasi altra, ma consente, data la vicinanza alla provincia, anche ai figli del popolo di istruirsi risparmiando spese di alloggio e di trasporto presso la senz’altro più prestigiosa sede milanese. Sì, perché anche Varese ha i suoi figli del popolo, come qualsiasi altro posto.

Non starò poi a ricordare che Varese almeno dal 1700 e fino a pochi decenni or sono è stata considerata il giardino dei milanesi, proprio in virtù della sua aria, resa salubre dalla vegetazione e dalla presenza dei laghi; e che il traffico varesotto del fine settimana è strettamente collegato alla necessità di tanti, meno provinciali di noi, che hanno bisogno di “prendere una boccata d’aria”. Ma queste sono dispute da campanile. Veniamo alle cose serie.

Indignarsi per una manifestazione verbale di razzismo è non solo sacrosanto, ma doveroso. Ma farlo imputando tale vizio morale all’aria che si respira in una certa zona è quello che in filosofia (e nel buon senso) si chiama circolo vizioso.

Lei, egregio signor Robecchi, ha di fatto detto: “ I varesini sono una razza di razzisti”. E allora si faccia capire meglio: lei crede che le razze esistano o no? Se non ci crede allora non esistono i Varesini come “insieme di persone che, respirando la stessa aria, sono tutti uguali”; se viceversa ci crede, allora Lei è un razzista. Non è un insulto, è una coppia di sillogismi.

Al di là di ogni sterile e formale perifrasi di cortesia, io credo che molti Varesini gradirebbero le Sue scuse.

E ameremmo non sentir parlare di lapsus.

Saluti

Rosanna Gucciardo
————————————–

La risposta di Alessandro Robecchi arrivata il 21 gennaio, il giorno dopo la pubblicazione della lettera al giornale.

Gentile signora Rosanna (e distinto comitato)

Cado sinceramente dalle nuvole. Il “Sarà l’aria di Varese” è una minuscola innocua battuta in un ragionamento – sulla brutta espressione del sindaco di Varese e la difesa della razza bianca – piuttosto corposo che tirava in ballo persino Freud (a proposito di lapsus) e che niente ha a che fare con provenienze geografiche o appartenenze etniche.

Per carità, se lei traduce quella battuta fatta sul sindaco di Varese come un “lei di fatto ha detto: ‘I varesini sono una razza di razzisti’”, beh, signora e Comitato, è una lettura assai sbagliata. Mi è venuto da pensare che certamente non tutti i varesini sono razzisti (ovvio), ma anche che non tutti hanno il senso dell’umorismo, al punto di leggere una battuta come una specie di attacco intollerabile. Ho riletto il pezzo dopo la Sua (vostra) lettera e, francamente, non ci trovo nulla di offensivo per i varesini perbene (e nemmeno permale, a dirla tutta).

Va bene. Pace.
Però dopo, mi scusi, signora, lei si lancia in una mirabolante (e molto apprezzata) difesa dell’Università varesina, prestigiosa istituzione che permette ai figli del popolo di Varese di non dover andare a Milano. Non solo sono perfettamente d’accordo (si figuri, io sarei per l’Università pubblica e gratuita ovunque), ma sono trasecolato ancora di più. Io? Ho scritto qualcosa su (e addirittura contro!) l’Università di Varese? Quando? Così ho riletto ancora e… mi spiace, non c’è, non l’ho mai detto, né scritto, né lontanamente pensato. Figurarsi l’aria fina, il “giardino di Milano” eccetera eccetera.

Insomma, se si è così offesa mi scuso, ma le comunico (a lei e Comitato) che non ho alcun astio antivaresino di nessun tipo.

Aggiungo che per pura coincidenza, proprio mentre lei scriveva e diffondeva la sua lettera, io mi trovavo alla libreria Ubik di Varese, in piazza Podestà, a parlare del mio nuovo libro con una Varese davvero interessata, culturalmente vivace e curiosa, in una piazza bellissima, in una bella libreria con ottimi varesini colti, simpatici e democratici.

cordiali saluti. Viva Varese!
Alessandro Robecchi

Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    L’aria no…la provincialità sì…eccome se lo fa diventare. Facciamo così scambiamo i Varesotti con i Milanesi….vediamo che succede.

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