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Come Losurdo e Lukács analizzano il pensiero di Nietzsche

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13 Luglio 2018

Egregio direttore,
Nell’ultimo intervento di Cosma Battaglia l’accento cade sul modo di procedere che caratterizza l’analisi critica cui Domenico Losurdo sottopone il pensiero nicciano.  Siccome viene riproposto da questo lettore l’accostamento fra il modo di procedere di Losurdo e il modo di procedere di Heidegger, proverò a porre in luce, servendomi di un esperimento mentale, non solo la correttezza dialettica, ma anche la fecondità euristica del metodo di indagine che caratterizza la disamina losurdiana, nonché la totale estraneità di quest’ultima all’approccio ermeneutico che contraddistingue il confronto tra il filosofo di Messkirch e il medesimo pensiero nicciano.

   Immagini dunque, il nostro lettore, di calarsi nei panni di uno studente che voglia studiare Nietzsche e che decida, a tal fine, di frequentare un dipartimento-tipo di filosofia. La prima cosa che scoprirà è che i numi tutelari dell’Olimpo filosofico rappresentato in questo dipartimento sono Deleuze, Foucault, Bataille, Vattimo e Cacciari, tutti esponenti di una ‘vulgata’ interpretativa il cui principale obiettivo è, sia pure con modalità diverse, quello di denunciare la strumentalizzazione filonazista compiuta da Elisabeth Nietzsche ai danni del fratello e il delirio ideologico marxista-leninista di Lukács. Immaginiamo poi che lo stesso studente, applicando opportunamente il metodo comparativo, decida di esplorare un dipartimento-tipo di storia, dove s’imbatterà in una linea interpretativa del tutto diversa rappresentata da storici eminenti quali Ritter, Hobsbawm, Elias, Mayer e Nolte, tutti concordi, sia pure muovendo da orientamenti tra loro assai diversi, nel collocare Nietzsche all’interno della reazione antidemocratica di fine Ottocento, donde parte il movimento sfociato poi nel fascismo. In breve, il nostro studente, altrettanto scrupoloso quanto volenteroso, scoprirà che nelle aule di filosofia è d’obbligo l’‘ermeneutica dell’innocenza’, mentre in quelle di storia verificherà che un Mayer non esita ad esprimersi sulla filosofia di Nietzsche in questi termini: «Tutto può dirsi della nuova ‘Weltanschauung’ [di Nietzsche], tranne che fosse innocente». Se poi lo storico statunitense testé citato dovesse essere considerato troppo inclinato a sinistra, ci si può rivolgere ad un esponente del revisionismo storico, quale è Nolte, il quale afferma esplicitamente che Hitler è un discepolo, peraltro timido e incoerente, di Nietzsche. Insomma, piuttosto che lanciare i loro strali contro Lukács, gli ‘ermeneuti dell’innocenza’ dovrebbero confrontarsi con gli storici sopra citati e con gli studiosi più recenti e più accreditati del Terzo Reich (ad esempio Kershaw), i quali sottolineano il forte peso che la lettura di Nietzsche ha esercitato nella formazione ideologica di Hitler.

   Sta di fatto che il nostro studente ha potuto constatare con vivo disappunto un netto divario tra “le due culture”, laddove non si tratta più della scarsa comunicazione tra la cultura scientifica e la cultura umanistica, ma, nell’ambito della stessa cultura umanistica, della incomunicabilità tra la ricerca filosofica e la ricerca storica, la quale ultima viene considerata dalle vestali del culto di Nietzsche (i vari Cacciari, Vattimo e compagnia danzante) come il classico cane in chiesa. Dopodiché, non desterà meraviglia che l’‘ermeneutica dell’innocenza’ venga estesa anche ad Heidegger e ai suoi rapporti diretti e militanti col nazismo.

   Ma veniamo ora al modo come Losurdo analizza il pensiero di Nietzsche. Si tratta, in questo caso, di una metodologia di tipo comparatistico applicata all’analisi storica: metodologia il cui presupposto è il principio dialettico, enunciato da Spinoza e ripreso da Hegel, nonché da Marx ed Engels, secondo cui “omnis determinatio est negatio” (ogni determinazione è una negazione). Infatti, nella misura in cui esige una delimitazione dei suoi confini, la comprensione di un fenomeno storico comporta sempre un momento di analisi comparata. Ad esempio, una crisi, una rivoluzione rivela il suoi significato se confrontata ad altre crisi e rivoluzioni. D’altro canto, a differenza che in Heidegger, per Losurdo e per lo stesso Lukács comparare non significa assimilare e appiattire. Il giudizio negativo implicito in ogni determinazione può essere di tipo diverso. Facendo tesoro della logica hegeliana (e Losurdo è stato, fra l’altro, membro della “Internationale Hegel Gesellschaft”, il più antico e più prestigioso centro di studi hegeliani), possiamo dire che c’è un ‘giudizio negativo semplice’ che si limita a negare la specie o un suo particolare, senza mettere in discussione il genere: questa rosa non è rossa, ma essa va tuttavia sussunta sotto il genere di rosa; una rivoluzione ha caratteristiche peculiari che la distinguono da un’altra, anche se l’una e l’altra devono continuare ad essere sussunte sotto la medesima categoria di rivoluzione. Ma c’è anche il ‘giudizio negativo infinito’, che nega il genere in quanto tale: questa non è una rosa; questa non è una rivoluzione bensì un colpo di Stato; questo non è un genocidio ma qualcosa di diverso da determinare ulteriormente mediante ulteriori confronti.  In ogni caso, ineludibile risulta il momento della comparatistica. L’unica alternativa ad essa è il silenzio dinanzi all’ineffabile. Per orribile che possa essere, se deve essere detto, descritto e compreso, un avvenimento storico dev’essere comparato.

   Emerge, a questo punto, tutta l’inconsistenza dell’accusa tradizionalmente rivolta a Lukács di aver ripreso, sia pur con un giudizio di valore contrapposto, il ritratto di Nietzsche tracciato da Baeumler, un filosofo che negli anni Trenta approderà al nazismo. Si tratta, in realtà, di un’accusa che ignora disinvoltamente, da un lato, l’Heidegger dello stesso periodo e, dall’altro, tutta una serie di storici contemporanei.
Così, ai giorni nostri, sia la sinistra post-moderna che la nuova destra si sforzano di rimuovere le dichiarazioni più ripugnanti di Nietzsche sull’“annientamento delle razze decadenti” e sui “milioni di malriusciti”. Sennonché Losurdo osserva giustamente, formulando, per dirla in termini hegeliani, un ‘giudizio negativo semplice’, che sia per la sinistra post-moderna che per la nuova destra, la quale cerca di ridefinire il suo programma anti-egualitario in termini culturali piuttosto che naturalistici e biologici, l’eugenetica nietzscheana è qualcosa di ingombrante, di cui conviene sbarazzarsi. Analogamente, sempre Losurdo fa notare che “Übermensch” viene reso, nella recente traduzione italiana di Baeumler, non con il tradizionale “superuomo”, bensì con “sovrauomo”. Anche in questo caso balza agli occhi l’analogia con la traduzione, cara a Vattimo, di “oltreuomo”. Che poi quest’ultimo pensatore sia una figura filosoficamente pericolosa non toglie, come riconosce anche il Battaglia, che sia, sul piano politico, un uomo generoso e coraggioso, vicino alla lotta comunista e impegnato da sempre in quella anti-sionista.

Eros Barone

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