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Monti, la politica e la società

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29 Marzo 2012

Caro direttore,
 
dico una ovvietà: Monti non è uomo estraneo alla politica per il semplice fatto che di mestiere sta facendo… il Presidente del Consiglio.
 
Non è estraneo oggi e non lo era ieri, come ha notato il blog di Adamoli ricordando che il professore per dieci anni è stato ministro dell’UE.
 
Del resto la battuta giapponese sul consenso goduto dal Governo, paragonato maliziosamente a quello, infimo, non-goduto dai partiti è degna di un signor politico.
 
Se poi sia utile al Paese, con tutti problemi che ci sono, avere anche sta polemica tra tecnici e politici non saprei. Personalmente ho qualche dubbio: mi pare che quello che preoccupa la gente sia altro.
 
Ad esempio stamattina al mercato di Angera si discuteva di coloro che sono stati espulsi dalle nostre fabbriche con la promessa della pensione e ora rischiano di trovarsi senza lavoro e senza pensione per via della riforma fatta dai tecnici "da quelli che se ne intendono". “Certo”, ha risposto un amico, "loro le sanno le cose… quelle che li riguardano ".
 
Il problema politico che pone il Governo Monti non riguarda "i partiti", ma il senso dei cambiamenti che prospetta e mette in atto, quali e in che direzione.
 
Ne ha scritto ieri Barbara Spinelli su Repubblica: “Al Premier vorrei domandare: è per un New Deal che sta a Palazzo Chigi, o per certificare che la crisi economico-democratica è gestibile da platoniche, oligarchiche Repubbliche di esperti-filosofi che la sanno più lunga?”
 
Spiegando che “la modifica dell’articolo 18 e le misure d’austerità hanno senso se inserite in una mutazione al tempo stesso economica, democratica, geopolitica. Se NON son parte di un New Deal nazionale ed europeo, secernono solo recessione, regressione, e quei chicchi di furore che secondo Steinbeck marchiarono la Depressione negli anni ’30.”
 
Leggendo queste righe si può pensare ai “cazzotti” di cui parla Bersani, che poi non sono altro che la registrazione di un malessere che tutti percepiamo.
 
Concludo con un’altra ovvietà: i politici e la politica sono chiamati a un forte rinnovamento, che passa dalla capacità di ascoltare il disagio sociale e la richiesta di equità che la crisi ha prepotentemente riportato di attualità.
 
Questo è il primo punto. Poi guardiamoci anche dalla presunzione che “i tecnici” abbiano solo loro le idee giuste sui giovani, sul lavoro e sul futuro. Anche loro dovrebbero girare un po’ per i mercati (quelli di paese, con la minuscola, non quelli con la maiuscola del dio finanza).
 
Saluti cordiali
Roberto Caielli

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