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Richiedenti asilo, meglio prendersene cura che lavarsene le mani

I richiedenti asilo imbiancano le scuole
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15 Luglio 2018

Gentile redazione,

leggo con grande interesse il Vostro articolo “I richiedenti asilo imbiancano le scuole di Varese” che mi sembra un modo utile per aprire il dibattito sulle migrazioni a riflessioni su cosa possiamo fare e, come ricorda l’assessore, un salto di qualità rispetto a tempi recenti durante i quali “si preferiva sottacere il problema e la presenza in città di richiedenti asilo”.

Considerati i tempi bui che viviamo durante i quali mi sembra necessario costruire un pensiero accogliente che passi anche dalle parole che usiamo e dalle azioni, anche minime, che facciamo e con il solo scopo di contribuire a questo dibattito vorrei, però, almeno accennare a tre questioni che vengono citate nell’articolo e sulle quali ritengo urgente riflettere.

Si dice che queste persone accolte presso la struttura di Masnago siano impegnate in un’attività di volontariato. È noto che il volontariato sia un’attività gratuita e spontanea per prestare aiuto a situazioni di persone in difficoltà o alla comunità. Quello che sta succedendo nelle scuole di Varese mi pare certamente un’attività gratuita a favore della comunità, ma mi domando quanto questo impegno sia spontaneo. Non voglio dire che qualcuno abbia costretto i supposti volontari a eseguire quei lavori, ma possiamo realmente dire, senza passare almeno per ingenui, che delle persone in situazione di fragilità dovuta alla loro recente esperienza di migrazione e con la spada di Damocle dell’accettazione o meno dello status di rifugiato che pende sulla loro testa, decidano liberamente di aderire a proposte di volontariato? Non è forse che definirli volontari risponde quantomeno ad un meccanismo di “nominazione autoritaria […] costringendoli a collocarsi nelle categorie che la società d’immigrazione impone”(S. Palidda, 2006. Mobilità umane. Milano: Raffaello Cortina Editore)?

Legata a questa questione mi pare sia l’ipotesi che viene citata nell’articolo che questa attività sia un modo per ripagare la comunità ospitante. Anche in questo caso mi sorge una domanda: ripagare di che cosa? Del percorso migratorio che li abbiamo costretti a subire attraverso norme e confini posticci creati ad hoc per impedire il pericolo di un’invasione? Quello di essere accolti non è, invece, un diritto che hanno, a prescindere dalla loro possibilità/volontà di ripagare, sancito da norme internazionali e pure dalla nostra Costituzione all’art. 10?

Infine credo abbia ragione l’Assessore a dire che nella situazione attuale si lavori “in assenza di poteri decisionali in questo campo che, si ricorda, sono tutti in capo alla Prefettura”. Questa situazione è descrivibile con la presenza sul territorio comunale di più di 200 posti per l’accoglienza straordinaria di richiedenti protezione internazionale (CAS) di cui è competente la Prefettura e di 25 posti facenti riferimento al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) di competenza del Comune. Cambiare questa proporzione tra sistema straordinario (CAS) e sistema ordinario (SPRAR) è, però, nelle disponibilità del Comune che avrebbe potuto, e potrà in futuro, avviare nuovi progetti a tutto vantaggio del processo di accoglienza e della possibilità di gestione in capo al Comune stesso.

Pur non negando il lavoro che si sta facendo attraverso il tavolo di confronto con gli Enti gestori, credo che sia sempre più importante pensare all’accoglienza delle persone e al welfare con estremo rigore precisando e discutendo i significati delle nostre azioni, anche perché “è meglio prendersi cura di qualcuno che lavarsene le mani […] anche se questo non rende più ricchi gli individui né le imprese. È la decisione […] di misurare la qualità di una società in relazione alla qualità dei suoi standard morali, ciò che oggi è più importante che mai sostenere.” (Z. Bauman, 2007. Homo consumens. Trento: Cetro Studi Erickson)

Ringraziando per l’attenzione che vorrete concedermi,

cordiali saluti.

Lorenzo Fronte

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