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Su Giovanni Gentile

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15 Aprile 2009

Egr. direttore,

il15 aprile del 1944 veniva vigliaccamente assassinato da un gruppo di partigiani antifascisti Giovanni Gentile, uno dei più grandi filosofi italiani del novecento. Giovanni Gentile fu, con Benedetto Croce, l’esponente principale del neoidealismo italiano. La sua visione del mondo, quella di un Umanesimo del Lavoro capace di realizzare un’autentica giustizia sociale, lo portò a rielaborare in forma organica l’idealismo di Hegel. Il suo nome è legato alla prima (e a tutt’oggi unica) riforma organica della scuola italiana, affidando all’insegnamento della filosofia e delle materie umanistiche un ruolo centrale nello sviluppo pedagogico dello studente; all’Enciclopedia italiana (con G. Treccani) alla cui realizzazione Giovanni Gentile chiamò, al di sopra delle parti, le massime autorità scientifiche dell’epoca senza alcuna distinzione di credo politico affinché quest’opera monumentale (36 volumi) rappresentasse la summa del sapere italiano; alla Normale di Pisa, ristrutturata, potenziata e resa di gran prestigio. L’influenza di Gentile sulla cultura italiana, accresciutasi nel tempo per merito delle sue pubblicazioni, delle iniziative con Benedetto Croce e della produzione della sua scuola filosofica, fu enorme e si estese anche grazie agli innumerevoli incarichi che ricoprì durante il regime fascista, cui aderì con entusiasmo e coerenza. Va ricordato, a riguardo, l’estensione del ”Manifesto degli intellettuali italiani fascisti ” (che sancì la definitiva rottura con Croce) che recava firme illustri tra cui quelle di Luigi Pirandello, Gioachino Volpe, Curzio Malaparte, Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Corradini e Giuseppe Ungaretti. Fu direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, presidente dell’Accademia d’Italia e Ministro della Pubblica Istruzione durante il primo governo Mussolini (1922-1924). Nell’esperienza storica avviata da Mussolini, Giovanni Gentile vide quella sintesi tra pensiero e azione necessaria per portare a compimento il processo risorgimentale (depurato dalle scorie del liberalismo e superate   le contraddizioni del socialismo) e gettare le basi per la costruzione di uno Stato moderno: lo Stato Nazionale del Lavoro. Dopo la crisi del 25 luglio 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana come atto di fede nella capacità rigeneratrice dell’Italia e di stima per Benito Mussolini. Sapeva, come moltissimi giovani che risposero all’appello del Duce, che difficilmente sarebbe sopravvissuto a quell’avventura e che, viceversa, si sarebbe salvato standosene tranquillo in disparte. Fece opera di riconciliazione tra le parti per evitare una guerra fratricida che avrebbe (cosa che puntualmente avvenne) diviso gli italiani per generazioni. L’assassinio giunse a ciel sereno: c’erano state solo alcune minacce alla rivista fiorentina da lui diretta ed estese ai suoi collaboratori, fra cui spiccavano i nomi di Ardengo Soffici e del futuro leader repubblicano Giovanni Spadolini e alcuni attacchi volgari dai microfoni di radio Londra. La morte di Gentile, cui seguì la demolizione intellettuale e morale di Benedetto Croce, fu voluta soprattutto da Togliatti per sgombrare il campo filosofico nella prospettiva di un’egemonia culturale marxista e fece tirare un sospiro di sollievo ai tanti intellettuali antifascisti che, come afferma Paolo Mieli nel suo saggio ”Una rilettura liberale di Giovanni Gentile”, durante il regime poterono campare scrivendo. La grandezza postuma di Gentile non sta solo nella sua statura di pensatore e uomo di cultura, ma anche nell’aver tenuto ferme, fino alle estreme conseguenze, le proprie idee: una coerenza che per quanti si schierano a destra dovrebbe essere d’esempio soprattutto oggi, nel momento in cui, come dice una bella canzone della Compagnia dell’Anello, ”stiamo buttando alle ortiche, per inseguire il potere, la nostra Fede pi ù antica e le ragioni piu ’ vere”.

 

Grazie per l’ospitalità e cordiali saluti.

 

Gianfredo Ruggiero, Presidente del Circolo Culturale Excalibur

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