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Sulla Resistenza nonviolenta

resistenza nonviolenta
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27 Luglio 2015

Egr. Direttore,
tra i libri che sto leggendo in questi giorni, credo che meriti una particolare attenzione “RESISTENZA NONVIOLENTA – 1943-45” di Ercole Ongaro. E’ un libro estremamente interessante che da una nuova dimensione al fenomeno della RESISTENZA e che ha visto la partecipazione di tutto un popolo, stanco della guerra, stanco del fascismo e stanco della dominazione straniera dell’esercito tedesco, stanco di tutte le dittature e di tutte le violenze subite.
Rinchiudere la RESISTENZA solo a quella minoranza che ha preso parte attiva alla lotta armata, è stato un errore storico imperdonabile, perché la guerra contro il nazifascismo è stata vinta grazie a tutto un popolo che ha partecipato attivamente in forme e modalità diverse, in cui tutti però erano più o meno coscienti di quello che facevano, consapevoli del fatto che aiutare la Resistenza significava rischiare della vita o la deportazione nei campi di concentramento.
Il primo fenomeno di massa di Resistenza al nazifascismo si manifestò da subito nell’aiuto dato ai militari che scappavano da loro reparti per tornare a casa dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre del 1943. Poi ci fu l’aiuto ai soldati stranieri che il fascismo teneva nella patrie galere e quello dato agli ebrei che scappavano per non essere deportati nei campi di concentramento. Ma una Resistenza si manifestò negli stessi campi di concentramento contro le umiliazioni cui erano sottoposti i prigionieri per cercare di mantenere viva una umanità anche in luoghi dove l’umanità sembrava essere morta e finita per sempre. Questo anche per evitare di scendere allo stesso livello degli aguzzini ed impedire che solo l’odio diventasse una sorta di ideologia comune.
La lotta per la RESISTENZA NONVIOLENTA fu una lotta che accomunò tutte le categorie sociali, intellettuali, operai, fabbriche, campagne, contadini, chiese locali, preti, suore, conventi e persino monasteri di clausura che aprirono le loro porte per nascondere ebrei o rifugiati a rischio della loro stessa vita. La RESTISTENZA fu anche l’occasione per l’emancipazione delle donne sia nel proprio ruolo di staffette partigiane per collegare i combattenti al proprio territorio e sia nei GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA che sul campo poi acquisirono poi a pieno titolo la partecipazione alla vita politica del Paese con il diritto di voto alle donne. Mai dimenticarsi per esempio che la prima donna a ricoprire nel 1944 il ruolo di ministro dell’istruzione fu Gisella Floreanini nella famosa Repubblica dell’Ossola durata 40 giorni.
La realtà è quindi che la RESISTENZA fu in grande parte un movimento spontaneo, e solo dopo poi arrivarono i partiti attraverso i vari CLN – Comitati di Liberazione Nazionali – che diedero poi vita alle strutture politiche e militari che guidarono la lotta armata. Una lotta fatta di volontari, che rifiutarono la chiamata alle armi nella RSI, che accettarono a malincuore quello di doversi armare e uccidere per ottenere la libertà. Scrisse poi Tina Anselmi, giovanissima staffetta partigiana nel ricordare la sua vita: “Era una responsabilità enorme: uccidere. Scatenare con le nostre azioni le rappresaglie … Eravamo ben consapevoli di poter morire e noi volevamo vivere, di poter uccidere e noi non volevamo uccidere. E non volevamo che degli innocenti morissero … Ancora oggi mi reputo fortunata per non aver dovuto uccidere … La scelta della lotta armata, la possibilità di dover uccidere che essa comporta, entrava in conflitto con la mia fede cattolica, come con l’etica laica di altri compagni”.
Un rifiuto della violenza che si coronò poi nell’articolo 11 della nostra Costituzione con il ripudio alla guerra. Scrive Enrico Ongaro a conclusione della sua ricerca storica: “I resistenti che hanno impugnato le armi – in quel preciso contesto storico della seconda guerra mondiale – generalmente non amavano le armi, molti di loro erano reduci dai fronti di guerra, ne erano sconvolti e nauseati, sentivano un profondo bisogno di pace: sia coloro che si sono trovati nella necessità di unirsi a gruppi armati, sia coloro che hanno sentito il dovere civico  di opporsi con le armi all’occupante, lo hanno fato per garantire a tutti un cammino nella libertà e per affermare la pace come il bene più prezioso per le generazioni future” E’ un libro da leggere e imparare a memoria, soprattutto per i giovani.

EMILIO VANONI         Induno Olona

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