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Un confronto tra la guerra del Peloponneso e la presente situazione internazionale

Avarie
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11 Luglio 2017

Se ci si chiede quale sia il vero obiettivo della guerra condotta dagli USA in Afghanistan e in Siria, la riposta, a mio avviso, non può che indicare la Cina come obiettivo strategico e l’Iran come obiettivo intermedio. A favore di tale tesi mìlitano i seguenti fatti. Il primo è constatabile molto semplicemente: basta guardare con attenzione un atlante geografico per rendersi conto che il territorio afghano confina, al termine di uno stretto corridoio montagnoso, con il territorio della Cina e, in particolare, con la provincia cinese del Sinkiang. Basta poi aumentare la scala della rappresentazione cartografica per rendersi conto che, in concomitanza con la campagna militare intrapresa dagli USA, si è formato un ‘limes’, lungo circa 10.000 chilometri, presidiato dalle forze armate statunitensi, che parte dalla Turchia, passa attraverso l’Iraq, dove tali forze erano già presenti in séguito alla prima guerra del Golfo, e giunge al confine nord-occidentale della Cina (anche se il regime autoritario e neo-ottomano di Erdogan conduce una politica anguilleggiante, non sembra che l’appartenenza della Turchia alla NATO sia posta in discussione). Vi è solo un anello che manca per completare questo dispositivo militare, la cui natura offensiva è indubbia: l’Iran.

Ma non è forse assolutamente chiaro che l’obiettivo della prossima fase della campagna militare in corso sarà proprio questo Paese che, con la sua estensione di oltre un milione e seicentomila chilometri quadrati, con le sue risorse e con la sua posizione strategica, è il vero gigante del Medio Oriente? D’altra parte, il fatto che la Cina, destinata, secondo gli stessi esperti militari statunitensi, a divenire entro il 2020, con la sua progressiva ascesa economica e militare, il nuovo antagonista mondiale degli USA, sia conseguentemente il vero obiettivo strategico della guerra americana è confermato dalle iniziative politiche, economiche e militari che legano la Russia, anch’essa (come è ben noto) confinante con l’Afghanistan, e, per l’appunto, la Cina, unite da un consistente interscambio di capitali (che alla Russia mancano) e di tecnologie militari (delle quali la Cina ha bisogno). Se ci si volesse togliere il gusto di ‘épater le bourgeois’, si potrebbe pertanto sostenere che la posta in gioco di questa ‘terza guerra mondiale’ in gestazione è (non il petrolio, non il controllo delle fonti energetiche, non il controllo delle vie di comunicazione che conducono a tali fonti, ma) il tempo: il tempo che occorre alla Cina per completare le sue ‘quattro modernizzazioni’ (industria, agricoltura, tecnologia, forze armate).

Ciò che quindi non può sfuggire ad un osservatore attento è l’importanza strategica della costituzione dell’alleanza Cina-Russia, vòlta a neutralizzare la strategia di espansione degli USA nell’Asia centrale e nel Pacifico orientale. Sennonché occorre rilevare che la strategia elaborata (e poi applicata sul campo) dagli USA patisce un limite, che è quello costituito dalla “sovraestensione” nel dispiegamento delle forze militari lungo i ‘limes’ di cui si è detto: il che probabilmente chiarisce, e rende del tutto “proporzionato” all’importanza strategica della posta in gioco, l’intervento militare di Israele, cane da guardia degli Usa, nel ‘bandustang’ palestinese e in Siria, in funzione anti-iraniana e di costante supporto a quel botolo mordace che è il terrorismo islamo-fascista.

Come la storia insegna, la guerra su due fronti ha, in genere, un esito infausto (cfr. la Germania hitleriana, la Francia napoleonica ecc.). Figuriamoci una guerra su tre fronti come quella che vede attualmente impegnati gli USA, oltre che sul ‘limes’ asiatico, lungo il ‘limes’ europeo che si estende dai Paesi baltici e dalla Polonia, attraverso l’Ucraina, fino alla Turchia! In questo senso, se si volesse lumeggiare la vicenda che si sta svolgendo attraverso il confronto storico più pertinente, che è quello rappresentato dalla guerra del Peloponneso, si potrebbe affermare che gli USA (corrispondenti all’Atene dell’ultimo trentennio del V secolo a. C.), potenza dominante del mare, della finanza e della cultura del mondo greco (corrispondente all’attuale mondo capitalistico), entrati nel Peloponneso (corrispondente alla tradizionale zona di influenza russa) a causa della necessità di liquidare la ‘declinante’ Sparta (= Russia) e avendone provocato un’imprevista resistenza (iniziative della Russia in Crimea, conflitto permanente ‘a bassa intensità’ nel Donbass, intervento massiccio in Siria); gli USA, per l’appunto, irritati dalla dinamica risposta russa dopo anni in cui avevano avuto sempre l’iniziativa (= guerra ‘nel’ Peloponneso), si sono convinti che la resistenza di Sparta venisse dall’appoggio indiretto della lontana e ricca Siracusa. La fine di questa vicenda è scritta nei libri di storia…

Passando dalla storia alla geopolitica, è opportuno porre in risalto che vi sono dei dati che gli strateghi americani sottovalutano: 1) l’attuale Cina è il prodotto di una “lunga marcia” grazie alla quale il “celeste Impero” si è scrollato di dosso il pesante giogo della dominazione dei “nasi lunghi” (così in Cina sono definiti gli occidentali) ed è quindi improbabile che esso si fermi nel rettilineo finale; 2) i russi hanno sperimentato ampiamente la doppiezza degli americani ed è difficile che credano ancora alle loro promesse; 3) dal canto loro, gli americani, convinti della loro onnipotenza, hanno distrutto a tal punto la loro credibilità diplomatica, che ad essi rimane in mano soltanto lo strumento della guerra diretta e del sovvertimento interno degli altri Paesi (ma gli altri lo sanno e non si faranno cogliere impreparati). Quindi per gli USA, da tempo avviati ad un’epoca di declino sociale interno (esattamente come l’Atene dell’ultimo trentennio del V secolo a. C.), restano solo due strade: a) un drammatico mutamento del regime politico interno; b) l’uso dell’arma bellica fino alle estreme conseguenze. Sennonché è una certezza indiscutibile che chi comanda negli USA non accetterà mai di percorrere la strada (a).

Conclusione ovviamente provvisoria: Trump al G20 ha cercato di frenare il dinamismo russo e cinese, ma non ha ottenuto alcunché. Ed è naturale, perché Trump è la personificazione di un processo storico in corso, che l’Occidente, come se fosse consapevole della sua fine, non è in grado né di bloccare né di frenare. I pettegolezzi dei giornali, più insulsi del solito, sono stati la cartina di tornasole dell’impotenza dell’Occidente rispetto al lento cedimento del tessuto internazionale. Un cedimento che assomiglia in modo impressionante all’aspetto degli assurdi calzoni strappati che è solita indossare la non eccelsa gioventù occidentale.

Eros Barone

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