Progressi in Chirurgia generale in un sistema sanitario in regressione
Varese - In una lettera, il professor Renzo Dionigi analizza la situazione negli ospedali pubblici italiani. Alla luce dei progressi scientifico-tecnologici e dell'organizzazione politico-aziendalista
Negli ultimi venticinque anni si sono registrati straordinari progressi in diversi settori della chirurgia generale. Alcuni eventi certamente entreranno nella storia della chirurgia: la chirurgia conservativa nel trattamento delle neoplasie della mammella, la chirurgia dei trapianti d’organo e la riduzione della mortalità e morbilità dopo interventi chirurgici maggiori per la resezione di tumori esofagei, epatici, pancreatici. Agli inizi degli anni ’80, nel nostro come in altri centri ove questi interventi di chirurgia oncologica maggiore erano eseguiti con maggior frequenza, la mortalità superava il 20%, oggi negli stessi centri la mortalità è inferiore al 2% e si osserva una netta riduzione nell’incidenza di complicanze postoperatorie.
E’ facile intuire come questi risultati siano frutto di lunga ed intensa attività di ricerca di base, tecnologica e clinica. In generale, si deve infatti registrare che negli anni si è affinata la conoscenza fisiopatologica delle malattie trattate, sono nettamente migliorate la diagnostica, la preparazione del paziente all’intervento, le tecniche anestesiologiche e le terapie postoperatorie. Contemporaneamente sono stati realizzati ed adottati nuovi strumenti chirurgici.
Progressi si sono anche verificati nella chirurgia generale di media gravità: l’introduzione della chirurgia laparoscopica e delle relative tecniche miniinvasive rappresentano certamente le novità più rivoluzionarie degli ultimi anni.
Purtroppo questo rapido sviluppo tecnologico non solo non è stato tempestivamente previsto, ma è tuttora trascurato dai sistemi sanitari di molti dei Paesi europei. E’ innegabile che queste innovazioni abbiano comportato un’impressionante lievitazione dei costi delle prestazioni chirurgiche, certamente responsabile in modo significativo, anche se unitamente ad altri fattori, della crescita dei costi della sanità. In Italia spiace constatare che, malgrado un’ovvia progressiva crescita dei costi della sanità (+ 3,7% sul 2001, + 11,1% del 2000 sul 1999, +8,6% del 2001 sul 2000), la percentuale di PIL devoluta ai finanziamenti del Sistema Sanitario Nazionale (8,1%) è significativamente inferiore a quella di altri Paesi europei quali Germania (10,6%) e Francia (9,5%), non diversamente da quanto avviene per i finanziamenti governativi previsti per la ricerca scientifica e tecnologica. A ciò si aggiunga che il processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie, così come adottato nella maggior parte delle regioni italiane, deve ancora dimostrare la sua efficacia sia in termini di efficienza amministrativa che di adeguamento all’evoluzione tecnologica.
Nel frattempo il processo di aziendalizzazione ha dimostrato tutta la sua fragilità, infatti, gli unici dati certi sono: 1) il sistema privilegia le scelte politiche e non quelle tecniche, sia a livello amministrativo che a quello sanitario; 2) un continuo ed indiscriminato “taglio dei costi” per far quadrare i bilanci dell’”azienda”, così penalizzando quei centri d’eccellenza ove le applicazioni delle nuove tecnologie consentono il trattamento di patologie complesse e costose; 3) il potere monocratico dei direttori generali, che essendo di nomina politica rispondono politicamente al loro Assessore regionale, operano senza Consiglio di Amministrazione e quindi senza alcuna mitigazione, esercitano un potere assoluto, che condiziona i medici e tutto il personale, ormai completamente ininfluente sulle scelte anche sanitarie e delle ASL; 4) un progressivo potenziamento delle strutture private accreditate, e quindi remunerate con danaro pubblico, alle quali è consentito esercitare la selezione delle patologie da trattare, quasi sempre seguendo una logica esclusivamente budgettaria, mentre l’azienda pubblica può e deve ovviamente provvedere al trattamento delle patologie più complesse e costose; 5) un egualitarismo appiattente e demotivante che non consente di premiare il merito – il percorso della qualità implica che tutti gli erogatori di servizi operino in regime di garanzia di qualità e che si inizi il percorso di misura degli outcomes – ; 6) la forzatura sui primari e capi dipartimento perché da medici si trasformino in gestori – nei paesi anglosassoni dai quali abbiamo importato questi concetti, il Dipartimento non è gestito dal Direttore medico, ma da un manager che gli dipende e che funzionalmente riferisce anche al direttore generale dell’azienda -; 7) il conseguente fallimento della dipartimentalizzazione delle aziende – basti pensare al tempo che oggi si chiede ai capi dipartimento perché gestiscano un budget, ignorando che essi non sono preparati, motivati e spesso rifiutano questa funzione e che l’assenza di poteri nel modificare i fattori produttivi (il personale) o per intervenire nell’acquisto di beni e servizi è un fattore che non consente né di definire budget né di effettuare veri piani strategici -.Pertanto, il risanamento del Servizio Sanitario Nazionale deve avvenire attraverso l’abolizione del modello aziendale, oppure correggendo le disfunzioni createsi nella sua applicazione? Azienda è, per alcuni, un’organizzazione finalizzata al risultato economico, mentre la missione dell’ospedale è la salute del paziente. Per altri “l’azienda è un semplice strumento” utilizzato per raggiungere fini diversi che, se in alcuni casi coincidono con il profitto, nel caso della sanità si identificano con la risposta ai problemi della salute. In tal caso i difetti del sistema sanitario non sarebbero dovuti all’applicazione del modello aziendale, ma piuttosto ad un’interpretazione errata di tale modello. Di certo, nel caso si dovesse insistere nell’applicazione della cultura aziendale, la prima condizione per una gestione sanitaria che consenta di raggiungere elevati livelli di efficienza e qualità è la sua autonomia rispetto alle attuali eccessive ingerenze politiche esterne, che altro non producono che inutili e paralizzanti conflittualità tra schieramenti ed istituzioni e nulla hanno a che vedere con la qualità delle prestazioni per i nostri pazienti. Ci consola sapere che tali osservazioni sono del tutto condivise e con autorevolezza da tempo esposte dallo stesso Ministro Sirchia (Il Sole 24 ore, 08,01,2003)
Renzo Dionigi
Ordinario di Chirurgia Generale
Rettore dell’Università degli Studi dell’Insubria
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